La Sanità tradizionale è ancorata a un processo che comporta necessariamente la presenza allo stesso tempo e allo stesso modo di paziente e medico, o di medico con altri medici per realizzare un percorso diagnostico.
Con l’applicazione del digitale c’è stato un cambiamento, che è ancora in atto. Una tra le innovazioni principali è stato il Fascicolo Sanitario Elettronico, che ha la possibilità di raccogliere in modo digitale tutti i documenti necessari a professionisti, e anche gli assistiti, per individuare i percorsi diagnostici adatti. Ma la strada è ancora lunga.
Su queste premesse Massimo Mangia, Esperto di Sanità Digitale ed Editore di Salutedigitale.blog, ha esposto una sua riflessione sulle applicazioni della digitalizzazione nella Sanità.
Si può migliorare ancora?
La risposta è sì, ma la Sanità va ripensata. “Il modo di fare medicina non è ancora cambiato, perché non è cambiato il modo di condividere la conoscenza. Quale modo migliore per farlo, se non col digitale?”
“Quello che possiamo fare è di fatto rendere virtuale, e quindi rompere, questo legame tra presenza e luogo, cambiando radicalmente il processo con cui viene fatta medicina oggi.”
Il digitale è lo strumento adatto per la trasmissione di informazioni, ma potrebbe anche essere usato per superare tutti quei passaggi burocratico amministrativi che tuttora occupano una porzione rilevante del tempo del personale sanitario.
“È vero che ora abbiamo a disposizione dei software che dovrebbero semplificare questi procedimenti, ma spesso diventano solo fonte di perdita di tempo per medici e infermieri, che invece di dedicare lo spazio di una visita unicamente al paziente ne impiegano la maggior parte per le compilazioni di dati e informazioni”.
Il paragone riportato da Mangia è con le moderne automobili: se al giorno d’oggi abbiamo la possibilità di impostare un navigatore, ascoltare un podcast, impartire comandi alla nostra auto senza spostare le mani dal volante, questo tipo di tecnologia dovrebbe essere disponibile anche per i medici nei nuovi software.
Recuperare tempo per recuperare umanità
“Immaginate come può cambiare il lavoro del medico, quanto tempo potrebbe risparmiare. E, soprattutto, gli si potrebbe togliere il monitor del computer da davanti agli occhi, lasciandolo solo per i casi più particolari. In questo modo recuperiamo umanità, un argomento che dà tanta preoccupazione per quanto riguarda l’AI.
C’è timore, con il digitale, per la disumanizzazione della medicina, perché l’intelligenza artificiale non ha empatia. Noi potremmo invece paradossalmente usare l’AI per recuperare la dimensione umana della relazione medico paziente. C’è tanto interesse sulla capacità diagnostica dell’AI, ma molto meno per quella dell’AI su come mezzo per farci riguadagnare e recuperare la relazione, il tempo, la parola, che qualunque paziente di qualunque età va disperatamente cercando con il proprio medico”.