La cura per non ammalarsi: una nuova era per la prevenzione primaria 

L’ha aperta la recente ricerca di Oxford: lo stile di vita e l’ambiente influiscono sulle malattie legate all’età in maniera molto maggiore dei geni.
prevenzione primaria
Giovanni Scapagnini

L’invecchiamento biologico è un processo sul quale possiamo intervenire – dice il professor Scapagnini -. La semplice prevenzione può contribuire alla salute al pari dell’alta tecnologia ma costa molto meno. Superiamo approcci olistici e di marketing e costruiamo un modello scientifico di prevenzione primaria per tutta la popolazione”.

L’evidenza raccolta con sempre maggiore frequenza e convinzione dagli scienziati della longevità, in Italia e all’estero, già da qualche anno permetteva di affermare che l’epigenetica valesse più della genetica nel determinare la probabilità di invecchiamento in salute. Ovvero, che i fattori ambientali – stili di vita, alimentazione, presenza o meno di inquinanti etc.- , determinassero il modo in cui i geni vengono espressi e che questo, più che i geni stessi, fosse l’elemento centrale nell’accelerare o rallentare l’invecchiamento biologico.

“Questa idea è stata provata oltre ogni ragionevole dubbio da uno studio rivoluzionario recentemente pubblicato a Oxford che ha quantificato l’impatto dei fattori esterni – noto come esposoma – sull’invecchiamento in salute – spiega Giovanni Scapagnini, professore di Nutrizione Clinica presso l’Università degli Studi del Molise, direttore scientifico della Fondazione Garda Valley (Oniverse) ed uno tra i più rinomati studiosi dell’invecchiamento a livello internazionale.

“Un’innovazione strepitosa” 

Per la prima volta, è stato misurato l’impatto globale di un concetto relativamente recente: quello di esposoma. L’esposoma racchiude tutti i fattori ambientali che possono influire sulla nostra salute fin da piccolissimi. Lo studio dell’Oxford Population Health ha potuto attingere ai dati continuativi raccolti per decenni sul campione di quasi 500.000 persone della UK Biobank. Questa enorme quantità di dati è stata confrontata e validata con 45mila analisi del sangue per rintracciare i meccanismi chiave quali acetilazione, e metilazione connessi all’espressione genica e all’invecchiamento biologico. Esami che hanno confermato l’esito della ricerca: 25 fattori ambientali pesano per il 17% sul rischio di sviluppare malattie legate all’invecchiamento, contro il 2% della predisposizione genetica”. 

I limiti dello studio da tenere presenti

“Questo non significa che la genetica non conti nelle malattie. In alcuni tumori è, per esempio, un fattore determinante. Ma, nel caso delle malattie connesse all’invecchiamento, l’elemento più importante è come si vive, non il proprio corredo o la predisposizione genetica. Lo studio di Oxford è il primo di molti e, per trasparente ammissione degli autori, tutt’altro che esaustivo perché esamina solo 25 fattori ambientali – tra i quali figura, elemento interessante, anche la posizione socio-economica”. 

Le implicazioni 

“Pur con queste premesse – spiega Scapagnini, che è anche presidente del Comitato scientifico di Welfair, fiera del fare Sanità a fiera di Roma – è una finestra che si apre su un nuovo orizzonte scientifico e le implicazioni sono di grande portata. In primo luogo, perché porta alla nostra attenzione che i fattori ambientali che regolano l’espressione dei geni e l’invecchiamento biologico sono modificabili e reversibili. Quindi, la prevenzione deve iniziare quando si è sani e, potenzialmente, per tutta la vita. Pensiamo, a titolo di esempio, che i fattori negativi che agiscono sulla mamma operano anche sul feto.

In secondo luogo, la ricerca mette in risalto non solo i fattori di rischio, ma anche i fattori positivi. Tra questi, sottolineo l’importanza dell’alimentazione, lasciata ancora un po’ ai margini in nella pubblicazione inglese. Preservare la salute, pertanto, dipende non solo dal togliere ma anche dall’aggiungere. Infine, perché rivela uno scenario importante per la pianificazione sanitaria: quello nel quale la ‘semplice’ prevenzione primaria ha un impatto sulla salute che potrebbe superare quello di screening e sistemi diagnostici ad alta tecnologia, pur costando una frazione del loro prezzo.  

Cambiare la prevenzione primaria

Tutti questi elementi ci portano a guardare alla prevenzione primaria con occhi nuovi – conclude Scapagnini-. Finora, c’è stata molta variabilità: approcci olistici, ricette per la longevità delle cliniche private, luoghi comuni. Ma la direzione della scienza, dallo studio di Oxford alle evidenze dell’alimentazione funzionale, conferma un trend di fondo. L’impatto benefico di molte attività o nutrienti dipende dalle dosi e dal quadro globale di tutti i fattori che influiscono sulla salute. In sintesi: ogni persona è unica e così lo la sua ricetta per la salute”.

“Lo scenario che si è aperto è quello di una prevenzione primaria scientifica costruita con rigore sulle esigenze e caratteristiche del singolo. Così come le medicine non vengono prese a caso ma sulla base dei sintomi e della condizione dell’organismo, anche la prevenzione deve essere intesa come una cura fondata sulla conoscenza e sulla precisione. Una cura che ci aiuterà a non ammalarci”.

Portare la prevenzione primaria nel quadro del SSN

“Non è un investimento facile per un SSN già al limite, ma è un elemento essenziale per la sostenibilità del sistema. Le malattie legate all’invecchiamento sono il 90% delle malattie che pesano sul Servizio Sanitario Nazionale. Non possiamo più curare i sintomi. La prevenzione, con una popolazione che invecchia rapidamente, è l’unico modo per impedire alle malattie di insorgere”.

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