Un impressionante trend di crescita caratterizza l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale (IA) in oculistica, e specificamente nella diagnostica del fondo oculare nella Retinopatia Diabetica.
Dalla prima validazione nel 2018, questa applicazione è arrivata a piazzarsi, negli Stati Uniti, al secondo posto come utilizzazione, preceduta solo dalla diagnostica angiologica coronarica.
IA e retinopatia diabetica
Gli algoritmi che sono stati sviluppati permettono di identificare su fotografie digitali del fondo oculare le lesioni che interessano la microcircolazione retinica, specchio di quella corporea in toto. La retina è l’unico sito dell’organismo in cui il microcircolo può essere visualizzato in vivo, permettendo così di identificare modificazioni patologiche che interessano sia il diabetologo in quanto indice della risposta terapeutica, che l’oculista per la gestione di quadri che possono arrivare a minacciare seriamente la vista – la RD è tra le prime cause di cecità civile al mondo e la prima in età lavorativa.
L’IA permette al diabetologo che ne riceve il referto di fornire indicazioni per la gestione del paziente, ovvero un follow-up standard per i quadri negativi (semafori verdi), e la visita oculistica per i quadri patologici (semafori rossi). Esistono algoritmi binari, che distinguono solo quadri senza lesione da quelli con qualsiasi lesione, ed altri che differenziano ulteriormente lesioni lievi da altre potenzialmente lesive per la vista.
Affidabilità e risposta dei pazienti
La letteratura sull’affidabilità della metodica è sempre più ricca. Arriva a fornire percentuali che superano il 90% per la sensibilità e lo sfiorano per la specificità. Si arriva già oggi ad affermare che la lettura da parte dell’IA sia più affidabile di quella umana.
Oltre alla semplicità della raccolta massiva di pazienti, che possono essere fotografati in postazioni fisse ma anche con apparecchi portatili, anche da personale non medico, altri aspetti lodevoli sono la constatazione, in alcune esperienze condotte soprattutto in Paesi a basso e medio reddito, di una maggiore attendance dei pazienti al percorso terapeutico successivo alla diagnosi, ciò che viene attribuito alla velocità della diagnosi (abbattimento dei tempi di attesa per la visita clinica e/o la risposta).
Inoltre, la versatilità dell’IA permetterà a breve la diffusione di algoritmi che integrano i reperti iconografici con notizie cliniche, permettendo una “personalizzazione” dei suggerimenti terapeutici.
Ci sarà ancora posto per l’Uomo?
Alcuni passaggi sono ancora critici, almeno da alcuni punti di vista. Ad esempio, un problema multifattoriale (clinico, informatico, etico e di privacy) è la “black box”. L’utente, sia esso medico o paziente, non può seguire direttamente i singoli passaggi del processo di diagnosi, ma deve fidarsi ciecamente del lavoro dell’algoritmo.
Inoltre, nella diagnostica della RD, ad oggi l’IA è bravissima a porre diagnosi, ma ancora sfugge un punto molto delicato. L’urgenza posta dalla lesione pur correttamente identificata. Il gruppo di quadri potenzialmente pericolosi per la vista comprende lesioni che possono aspettare anche settimane per essere trattate, ma anche altre che possono determinare un calo della vista in pochi giorni. Una generica indicazione di necessità di un controllo oculistico, congiunta alla ben nota situazione delle liste di attesa, può generare un ritardo nell’appuntamento rispetto alla reale necessità posta dal quadro in atto, con possibile insorgenza intercorrente di calo della vista.
La telediagnosi
Fino a ieri, ancora oggi e neanche dappertutto, un grande passo avanti nella “inclusività” dello screening per la RD – in Italia fino al 31 dicembre u.s. demandato alla prestazione clinica ambulatoriale – è stato rappresentato dalla telediagnosi, prevalentemente asincrona (in un tempo e, spesso, luogo, diversi) su fotografie digitali del fondo oculare.
Tale metodica, varata in Gran Bretagna all’inizio del millennio e presto lì divenuta uno screening offerto dal National Health Service (DESP, Diabetic Eye Screening Programme), ha portato allo screening secondo linee-guida (generalmente annuale) circa l’83% dei pazienti con diabete. In Italia, con la prestazione ambulatoriale, siamo fermi a percentuali attorno al 15%. Altro brillantissimo risultato conseguito dal sistema britannico è che, in quel Paese, la RD non è più la prima causa di cecità in età lavorativa.
I problemi
Altri Paesi hanno adottato schemi analoghi. In Italia esistono isolate e non coordinate esperienze, comunque significative, ed un PDTA (ASL di Pescara) che dal 2019 sposta progressivamente la diagnostica del fondo oculare dal setting ambulatoriale alla telemedicina, adattato nel 2020 alle esigenze poste dal COVID ed, in tal guisa, validato anche da un Rapporto COVID dell’Istituto Superiore di Sanità.
E proprio la telerefertazione umana di immagini del fondo può intercettare alcune (attuali) fragilità dell’IA, soprattutto la valutazione dell’urgenza. Non sarebbe difficile inviare tutte le immagini patologiche (circa 1/3 del totale) o, per gli algoritmi che stratificano, quelle con lesioni pericolose per la vista (generalmente attorno al 10% del totale), ad un centro di lettura, che potrebbe esaminarle in brevissimo tempo e restituire una valutazione ed un suggerimento che sarebbero di sicura tutela per il paziente, ma anche per il diabetologo che si trova a dover prendere un appuntamento per un paziente con semaforo rosso.
Questi piccoli spunti dimostrano che, almeno per un certo tempo, una cultura di base del diabetologo (identificazione “a colpo d’occhio” di un quadro “non normale” prima o collateralmente rispetto all’esame IA) e la collaborazione di chi la retina la guarda di mestiere (l’oculista), saranno di sicuro aiuto alla costruzione di flussi di lavoro che potranno sicuramente giovarsi della, ma non limitarsi esclusivamente alla, Intelligenza Artificiale.
Vuoi discuterne con l’autore? scrivi a ro.perilli@tiscali.it