Nell’era della tecnologia, smartphone e smartwatch fanno ormai parte della vita quotidiana di milioni di persone. I ricercatori stanno, ora, esplorando come questi dispositivi, così diffusi, possano essere utilizzati per monitorare la salute cerebrale. E persino per individuare precocemente i segni di declino cognitivo.
Lo studio descritto nell’articolo “Smartwatch- and smartphone-based remote assessment of brain health and detection of mild cognitive impairment”, pubblicato su Nature Medicine (marzo 2025) e condotto da scienziati di Biogen, Apple e altre istituzioni accademiche americane (tra cui Harvard, l’università di Pittsburgh, il Massachusetts General Hospital e Stanford) rappresenta un importante passo avanti in questo campo.
Il declino cognitivo lieve: un elemento fondamentale per diagnosi e cura, ancora difficile da identificare
Cinquantacinque milioni di persone in tutto il mondo soffrono di demenza. La malattia di Alzheimer e le demenze ad essa correlate costituiscono le forme più frequenti, e questi numeri sono destinati a triplicare entro il 2050. L’esordio della demenza vera e propria può essere preceduto da forme di leggero declino cognitivo. Queste forme sono riportate in modo soggettivo e, spesso, sfociano nel “declino cognitivo lieve” (MCI).
Le persone che soffrono di MCI rappresentano un gruppo a rischio per la malattia di Alzheimer. La diagnosi precoce, su larga scala, del declino cognitivo potrebbe consentire alle persone di modificare il proprio stile di vita. E di avviare approcci farmacologici e non farmacologici per rallentarlo. Infatti, la rilevazione precoce del declino cognitivo è fondamentale per migliorare la qualità di vita dei pazienti. E per indirizzarli verso possibili trattamenti, così da mantenere la loro autonomia il più a lungo possibile, migliorando in generale il loro stato di benessere.
Tradizionalmente, le valutazioni cognitive vengono effettuate in contesti clinici attraverso test neuropsicologici estesi. Questi test possono essere costosi, richiedere molto tempo e risultare a volte influenzati da bias culturali o socioeconomici. Lo studio riconosce che i dispositivi di uso quotidiano, come appunto i cellulari, potrebbero facilitare il monitoraggio dello stato cognitivo delle persone. Sfruttando smartphone e smartwatch, i ricercatori hanno cercato di identificare variazioni nella funzione cognitiva, mentre le persone vivono la loro vita di tutti i giorni. L’approccio potrebbe permettere un monitoraggio continuo della salute cerebrale, offrendo la possibilità di una diagnosi e di un intervento precoce per il deterioramento cognitivo lieve.
Qualche dettaglio sullo studio
Lo studio, denominato “Intuition”, è stato progettato come uno studio osservazionale remoto che ha coinvolto 23.004 adulti, residenti negli Stati Uniti. I partecipanti hanno utilizzato i propri iPhone e, per supportare lo studio, è stato fornito loro un Apple Watch. Questi dispositivi hanno raccolto dati multimodali longitudinali per 24 mesi, grazie a un’applicazione personalizzata che ha registrato l’uso quotidiano del dispositivo, informazioni autosegnalate sullo stato di salute e valutazioni cognitive.
Un elemento chiave dello studio è stato l’utilizzo della batteria di test cognitivi standardizzata CANTAB (Cambridge Neuropsychological Test Automated Battery) sviluppata da Cambridge Cognition. I partecipanti hanno completato un test cognitivo iniziale di 30 minuti, che ha permesso di classificarli in diversi gruppi in base all’età e al rischio di declino cognitivo. Ad esempio, sono stati definiti gruppi di controlli giovani (dai 21 ai 59 anni), controlli anziani (dai 60 agli 86 anni), individui con preoccupazioni soggettive rispetto al proprio stato cognitive (SCC) e soggetti con diagnosi di MCI, sia autosegnalata sia clinicamente confermata.
Risultati Chiave
Lo studio ha raggiunto diversi traguardi importanti. In primo luogo, e questo è forse il risultato più importante, ha dimostrato la fattibilità di coinvolgere e valutare in remoto decine di migliaia di partecipanti usando dispositivi di uso quotidiano. Una volta inclusi nello studio, la maggior parte dei partecipanti è riuscita a completare le valutazioni cognitive e a condividere i dati dei dispositivi per un periodo di 12 mesi, con alti tassi di aderenza.
Un ulteriore risultato rilevante è stato lo sviluppo di un modello di classificazione preliminare per individuare l’MCI. Un modello basato su una combinazione di dati demografici, punteggi CANTAB di base e test soggettivi ha distinto i soggetti con MCI dal gruppo di controllo con un’accuratezza dell’85%. In particolare, il CANTAB ha individuato gli MCI con un’accuratezza del 66%, mentre i test soggettivi lo hanno fatto nel 79% dei casi.
Lo studio ha inoltre raccolto e analizzato enormi quantità di dati passivi dai dispositivi. Ad esempio, il numero di “tocchi per minuto” durante l’utilizzo dell’iPhone è stato correlato alle prestazioni nei test cognitivi. Questo approccio innovativo, che combina valutazioni cognitive attive e biomarcatori digitali passivi, apre la possibilità di identificare “fenotipi digitali” che riflettono sottili cambiamenti nella funzione cerebrale nel tempo.
Quali implicazioni concrete?
I risultati di questo studio hanno importanti implicazioni per il monitoraggio della salute cerebrale. Questo studio ha infatti stabilito che le valutazioni cognitive attive a distanza possono identificare l’MCI. Il passo successivo sarà quello di correlare le misure passive con quelle attive, così da verificare se il monitoraggio passivo funziona bene come le valutazioni attive nell’identificare variazioni cognitive.
La capacità di valutare da remoto e in modo continuo la funzione cognitiva in ambienti quotidiani può superare molti limiti dei tradizionali test clinici, ponendo le basi per utilizzi più inclusivi e applicabili su larga scala, offrendo misurazioni più valide e consentendo una diagnosi precoce del declino cognitivo. La rilevazione precoce è cruciale perché potrebbe permettere interventi tempestivi, soprattutto dal momento che stanno iniziando ad essere approvati dalle agenzie regolatorie farmaci, come gli anticorpi monoclonali anti amiloide, in grado di rallentare la progressione di patologie come la malattia di Alzheimer.
Per saperne di più
Barbara Bettegazzi lavora presso l’Unità di Terapia Genica delle Malattie Neurodegenerative del San Raffaele Research Institute – IRCCS Ospedale San Raffaele. È ricercatrice dell’Università Vita-Salute San Raffaele e una dei soci fondatori di BraYn Association Ets.