La gestione del rischio nella sanità è cresciuta negli ultimi 15 anni non solo grazie allo stimolo della legge Gelli ma anche grazie alla progressiva integrazione, nella cultura e nella prassi, di tutti i rischi connessi all’erogazione delle cure (strutturale, informatico, gestionale, etc) in una gestione unica del rischio sanitario globale, che può essere agevolmente racchiuso nella definizione di Risk Management Aziendale.
A fronte di questa crescita, però, si sono sviluppate anche diverse criticità. Tra queste l’aumento delle entità dei risarcimenti e le perduranti incertezze nell’applicazione della legge Gelli, in particolare per quanto riguarda la responsabilità civile e l’ambito assicurativo, perplessità che il recente DM 232/23 non ha chiarito, lasciando, per esempio, un importante vuoto nella definizione dei parametri che dovrebbero essere seguiti nell’istituzione del nuovo Fondo rischi.
Quali le incertezze del Fondo rischi della Legge Gelli?
“Il DL attuativo della legge Gelli di marzo 2024 prevede all’art. 10 i seguenti comma:
c.1 La struttura che opera mediante assunzione diretta del rischio costituisce un fondo specifico a copertura dei rischi individuabili al termine dell’esercizio e che possono dar luogo a richieste di risarcimento a carico della struttura.
c.2 L’importo accantonato ai sensi del comma 1: a) tiene conto della tipologia e della quantità delle prestazioni erogate e delle dimensioni della struttura ed è sufficiente a far fronte, nel continuo, al costo atteso per i rischi in corso al termine dell’esercizio.
Due sono i problemi: il primo è l’assunto che si tiene conto della tipologia e della quantità delle prestazioni erogate e delle dimensioni della struttura, e ciò diventa correlato ad una maggior probabilità rischio; in parte è accoglibile. Si pensi alle strutture con punti nascita, o in cui sono presenti i centri trapianti. Ma in assenza di parametri a partire dai quali individuare il valore del rischio per ogni singola tipologia di prestazioni il tutto diventa opinabile.
Al momento il Fondo rischi, essenziale e obbligatorio per le aziende che gestiscono il rischio con ‘analoghe misure’ (ossia in autoassicurazione), non può contare su linee guida chiare per essere quantizzato e quindi accantonato, con evidente sottrazione di risorse al bilancio aziendale destinato ad erogare prestazioni”.
Una situazione che favorisce il ritorno delle aziende verso il mercato assicurativo?
“L’art.1 del decreto disciplina i requisiti minimi di garanzia delle polizze assicurative di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 10 della Legge, per strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e per gli esercenti le professioni sanitarie. È evidente la tendenza e, anche, la direzione che la legge vuole favorire. Ma, anche qui, ci sono molte criticità. Le informazioni (e, anche, le competenze) sulle quali basare l’entità degli accantonamenti per il Fondo rischi sono le stesse necessarie alle assicurazioni per valutare nuove assunzioni di rischio. Non esistendo un criterio univoco riconosciuto, assistiamo ad un rimbalzo su chi debba stimare la ‘quantità’ di rischio per ogni struttura.
In più, c’è una contrazione continua del mercato assicurativo in sanità che ha lasciato pochissimi player attivi. Il risultato combinato di questi due problemi fa sì che se un ente sanitario volesse tornare nel mercato assicurativo dopo un regime di autoassicurazione farebbe molta fatica a trovare un assicuratore disposto ad assumersi il rischio con una polizza accettabile”.
Cosa fare in questa situazione di incertezza?
“Bisogna investire sulla gestione del rischio e sulla prevenzione. Nel pratico significa che alle Asl sono necessari investimenti nella formazione, nelle piattaforme per monitorare il rischio, nelle tecnologie e nella sicurezza strutturale.
Una buona gestione del rischio diviene anche una buona comunicazione, da potenziare non solo per veicolare sicurezza e fiducia, ma per trasmettere all’utenza la percezione reale degli sforzi fatti per rendere le cure più sicure, sottolineando come non sempre un esito diverso da quello atteso sia il frutto di un errore”.
Altro livello: il territorio
“Per quanto riguarda il territorio, l’ASL di Salerno ha sviluppato una soluzione interessante: le Botteghe della salute.
Progettate per i piccoli Comuni delle zone montane o più periferiche nei quali i servizi sanitari sono scarsi e dove la vicinanza tra sanitario e sociosanitario – penso al caso degli anziani non del tutto autosufficienti – è più marcata, le botteghe offrono una risposta sanitaria di bassa intensità ma di forte impatto umano.
Il medico e, molto più spesso, l’infermiere presente offrono un parere esperto che alle famiglie è necessario e che, mancando ambulatori dei medici di medicina generale– assenti in molti dei piccoli centri abitati – permette di evitare ricoveri o accessi impropri. Le persone hanno, infatti, bisogno di risposte alle loro preoccupazioni di salute e confronto da parte dei sanitari: se non li trovano sul territorio necessariamente li troveranno nel Pronto Soccorso. Questa consapevolezza deve guidare l’applicazione del DM 77 e il concetto alla base delle botteghe della salute è sicuramente applicabile in molti contesti al di là della Campania, opportunamente declinato sulle caratteristiche dei singoli territori.
Si tratta quindi di una risposta alle esigenze di salute per le aree interne che può consentire e nel contempo garantire la gestione delle cronicità”.