A Ferrara, esperti e professionisti si sono confrontati per promuovere una gestione integrata e multidisciplinare.
Dolore cronico: diffusione e incomprensione sociale
Secondo il Primo Rapporto Censis-Grünenthal “Vivere senza dolore”, il 19,7% degli italiani maggiorenni soffre di dolore cronico di intensità moderata o severa. Si tratta di un dolore persistente, che dura da almeno tre mesi, ha avuto una frequenza di almeno un episodio al mese negli ultimi tre mesi e raggiunge livelli di intensità pari ad almeno 5 su una scala da 0 (nessun dolore) a 10 (dolore di massima intensità).

“Per il 56,4% dei malati nessuno capisce quanto soffre per il proprio dolore, il 46,7% si sente solo, mentre il 36,4% percepisce disattenzione da parte dei medici” racconta Francesco Maietta, responsabile dell’Area Consumi, Mercati e Welfare del CENSIS, sottolineando un altro aspetto: l’isolamento e la scarsa comprensione sociale. “Queste opinioni e queste esperienze segnate da incomprensione e solitudine mostrano che esiste un deficit culturale, operativo e funzionale della sanità rispetto alla gestione della patologia. Pertanto, non stupisce che per il 72,5% dei malati il dolore nella nostra società è sottovalutato e considerato come poco importante”.
“Riconoscere il dolore come una patologia a sé stante”
“A lungo è prevalsa un’idea semplicistica del dolore, considerato come un evento utile in quanto indicatore di altre criticità sanitarie, stimolando i pazienti a considerarlo qualcosa con cui convivere e, quindi, da sopportare” spiega Maietta. “Tuttavia, l’esperienza quotidiana di tanti italiani indica che il dolore cronico di intensità moderata o severa compromette pesantemente la qualità della vita”.
Secondo il Rapporto, l’81,7% dei malati chiede che il dolore cronico sia riconosciuto ufficialmente come patologia. Un riconoscimento che ne sancirebbe il passaggio da problema privato a responsabilità collettiva.
Una percezione condivisa anche dal dott. Alessandro Orlando, Responsabile della Medicina del Dolore dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria di Ferrara: “Il dolore cronico influenza profondamente la vita quotidiana e il benessere psicofisico dei pazienti, per questo è fondamentale riconoscerlo come malattia vera e propria che necessita di una gestione adeguata”.
Un problema di sistema, non solo individuale
Quello del dolore è un tema trasversale, che tocca sanità, lavoro, welfare e cultura. Secondo Maietta: “Oggi il dolore non può più essere considerato come una necessità a cui sempre e comunque rassegnarsi o una sorta di challenge da affrontare in solitudine. È sofferenza, vincolo, riduzione della qualità della vita”.
L’aspettativa dei pazienti è chiara: serve un riconoscimento istituzionale, una rete di servizi dedicati e un approccio sanitario strutturato. “Vivere senza dolore significa promuovere un’idea della buona vita, non più come pura sopravvivenza, ma come qualità migliore della propria esistenza”.
Un convegno per rompere il silenzio sul dolore
Il dolore cronico è stato al centro di un convegno organizzato a Ferrara, con la partecipazione di esperti dell’Ospedale Sant’Anna e dell’Azienda USL locale. L’iniziativa, nata dalla consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma nella gestione e nella percezione di questa condizione, ha offerto l’occasione per discutere i dati del Primo Rapporto Censis-Grünenthal “Vivere senza dolore” e le esperienze dirette dei professionisti impegnati nella sua gestione.
Durante la giornata esperti e professionisti dell’Ospedale S.Anna e dell’Azienda USL sono intervenuti per spiegare i principali risvolti della “Malattia Dolore”, con un focus sulle attività svolte dalla Unità Operativa di Medicina del Dolore, diretta dal dott. Alessandro Orlando, dalla Psicologia Clinica, dalla Neurochirurgia e dalla Fisiatria.
Diagnosi e trattamento: un approccio integrato
“L’Algologo, o medico del dolore, ha il compito di fare una diagnosi corretta della tipologia di dolore sulla base della clinica e della diagnostica del paziente. Da qui si programma una terapia non solo medico-farmacologica, ma a volte anche multidisciplinare, chiedendo l’aiuto di altri specialisti come la Psicologia Clinica, i Reumatologi, la Fisiatria e i Fisioterapisti ai fini di un recupero biopsicosociale, come evidenziato dalle principali società scientifiche” spiega il Dott. Alessandro Orlando.

L’esperienza dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara dimostra l’efficacia di un lavoro in rete: “In questi cinque anni abbiamo puntato molto sulla collaborazione tra specialisti, come nel progetto con Reumatologia e Psicologia Clinica per pazienti con fibromialgia, trattati con terapie cognitivo-comportamentali. È importante anche la collaborazione con il Dipartimento di Cure primarie al fine di diffondere ancor meglio tra i medici di famiglia il nostro operato e l’importanza della cura del dolore”.
Il peso economico del dolore
Oltre al dramma personale, il dolore cronico impone un fardello anche sul piano collettivo. Il Rapporto stima il costo sociale medio annuo per paziente in oltre 6.300 euro, di cui 1.838 tra spese mediche dirette e quasi 4.500 euro per costi indiretti legati alla produttività persa o all’assistenza informale.
“Il dolore cronico genera costi sociali notevoli, con un costo rilevante per la società in termini di giornate di lavoro perse o di ridotta funzionalità nel lavoro” sottolinea il dott. Orlando. A livello nazionale, l’impatto economico complessivo sfiora i 62 miliardi di euro l’anno.
Per il 40,6% degli occupati l’insorgenza del dolore di intensità moderata o severa come patologia cronica ha avuto conseguenze sul proprio lavoro. Gli effetti limitativi sul lavoro sono molteplici. Oltre a vincolare le vite individuali esso genera costi sociali, con una onerosità specifica per la società in termini di giornate di lavoro perse o di ridotta funzionalità nel lavoro, e di costi a carico del Servizio sanitario.
Verso una nuova cultura del dolore
Il convegno di Ferrara ha sottolineato come il dolore cronico non sia solo un’esperienza individuale, ma un fenomeno sociale, economico e sanitario da affrontare con risposte sistemiche. Il dott. Orlando conferma: «Il dolore è stato per lungo tempo considerato un sintomo di una patologia sottostante, ma in molti casi ormai è ben chiaro dalla letteratura scientifica che deve essere considerato come una patologia a sé stante, con caratteristiche cliniche e biologiche ben definite”.
Il messaggio è chiaro: riconoscere, curare e prevenire il dolore cronico non è solo un dovere etico, ma anche una necessità sanitaria ed economica. Come conclude il Primo Rapporto Censis-Grünenthal: “Vivere senza dolore è un obiettivo socialmente desiderabile e urgente”.