Rafforzare il benessere mentale tra i giovani: un impegno collettivo

La sfida dell'autolesionismo tra i giovani: come gli adulti possano diventare alleati nel supportare in maniera sicura la crescita degli adolescenti. Intervista a Elena Marone, psicologa referente del progetto ChatSafe_Ita per l’ASST Bergamo ovest
Giovani
Elena Marone

L’autolesionismo rappresenta una problematica in crescita tra i giovani adulti, con percentuali allarmanti che segnalano un aumento dei casi. In questa intervista, Elena Marone, psicologa e referente del progetto ChatSafe_Ita per l’ASST Bergamo ovest, analizza le cause di questo comportamento, enfatizzando l’importanza di un dialogo aperto e privo di giudizi, e sottolinea come gli adulti possano contribuire a creare un ambiente di ascolto e supporto essenziale per aiutare i giovani a gestire le proprie emozioni e affrontare le sfide della vita.

Quanto è diffuso il fenomeno dell’autolesionismo tra i giovani adulti, in particolare tra i 18 e i 25 anni?

“L’autolesionismo è decisamente più comune tra adolescenti e giovani adulti rispetto alla popolazione più adulta o anziana. Le percentuali variano, ma i tassi oscillano tra il 13% e il 45%. L’età d’esordio è generalmente compresa tra i 12 e i 15 anni, con un picco tra i 14 e i 24 anni. 

È importante sottolineare che il 90% delle persone che ricorrono all’autolesionismo da adulti hanno iniziato in adolescenza, rendendo questo fenomeno particolarmente diffuso nella fascia giovanile della popolazione. Prima della pandemia, il tasso annuo di autolesionismo era stimato intorno al 3%. Tra il 2020 e il 2021, questa percentuale è salita al 10%. Anche se mancano studi recenti e completi, possiamo osservare l’aumento degli accessi al pronto soccorso per autolesionismo tra i giovani, un segnale chiaro che il fenomeno è in crescita”. 

Quali sono le ragioni dietro l’aumento dell’autolesionismo? 

“L’adolescenza è una fase cruciale della vita, in cui i giovani passano dalla dipendenza dai caregiver a una maggiore indipendenza: questo passaggio può generare una profonda crisi. Mentre molti sviluppano strategie di coping efficaci, alcuni ragazzi più vulnerabili hanno scarse capacità di problem solving e di abilità comunicative, sono connotati da maggiore sensibilità allo stress o al conflitto interpersonale e maggiore difficoltà nell’esprimere o modulare le proprie emozioni.  In breve, l’autolesionismo è l’esito finale di una interazione molto complessa tra fattori genetici, biologici, psichiatrici, psicologici, sociali e culturali. Tra i fattori di rischio ci sono fragilità psicologiche, pensieri suicidari, depressione o sintomi depressivi,  disturbi alimentari, disturbi esternalizzanti o internalizzanti, disregolazione emotiva e/o affettiva, anche se l’autolesionismo non indica necessariamente una patologia. È un fenomeno complesso, influenzato da molteplici fattori.

Una delle principali difficoltà nell’intercettare il bisogno sta nel fatto che ci sono pochi servizi dedicati specificamente ai giovani. Inoltre, molti ragazzi sono ancora spaventati dall’idea di rivolgersi a questi servizi a causa del forte stigma associato al disagio psichico. Riconoscere una sofferenza mentale, a differenza di quella fisica, può essere complesso proprio per i pregiudizi che esistono. Nonostante la crescente attenzione alla salute mentale negli ultimi anni, il tema tende ancora a rimanere confinato a momenti di dibattito occasionale. C’è ancora molto da fare: è fondamentale diffondere una cultura che ne promuova la consapevolezza in modo costante e capillare”.

L’accesso allo psicologo durante la scuola dell’obbligo richiede la l’approvazione preventiva dei genitori. Questo può rappresentare un problema?

“L’accesso allo psicologo a scuola è cruciale per il benessere non solo degli studenti, ma anche del personale docente e scolastico. Nel rispetto della deontologia professionale, è obbligatorio ottenere il consenso, che per i minorenni deve essere firmato da chi esercita la responsabilità genitoriale, un requisito che può talvolta costituire un ostacolo. In molte scuole, però, il consenso viene raccolto all’inizio dell’anno, facilitando l’accesso al servizio senza dover richiedere ogni volta un’autorizzazione specifica. Questa procedura aiuta a preservare la riservatezza e a rendere il supporto psicologico più accessibile”. 

Come si può affrontare il tema dell’autolesionismo in “modo sicuro”?

“#Chatsafe_Ita nasce proprio con l’obiettivo di aiutare i giovani e i loro familiari, insegnanti ed educatori a parlare di suicidio e di autolesionismo online e offline in maniera sicura. Lo scopo principale è quello di sensibilizzare i partecipanti ad un uso corretto dei social media rispetto ai temi del suicidio e dell’autolesionismo e produrre contenuti che serviranno per realizzare la pagina Instagram di Chatsafe_Ita.

Con i giovani, lavoriamo utilizzando le linee guida, sfatando falsi miti e pregiudizi, come l’idea che tutte le persone che ricorrono all’autolesionismo lo facciano come preludio al suicidio o che lo facciano per attirare l’attenzione. Ad esempio, chiedere a una persona se sta pensando al suicidio non aumenta il rischio, ma aiuta a esplicitare il problema. Ci sono molte indicazioni pratiche che affrontiamo insieme ai ragazzi, che accolgono con grande interesse. Il confronto nel gruppo favorisce la discussione, lo scambio e la comunicazione, generando un ambiente positivo. Anche per noi operatori, la partecipazione a questo scambio è altrettanto arricchente”.

Quale impatto ha avuto il progetto originale in Australia? Quali sono le aspettative per l’Italia?

“A livello internazionale, sono state sviluppate linee guida per i mass media che indicano come trattare temi delicati come l’autolesionismo e il suicidio. Nonostante le difficoltà nel gestire quest’ultimo tipo di comunicazione, i giovani utilizzano i social media per esprimere il loro disagio, spesso trovando adulti poco preparati a rispondere in modo adeguato. Da questa esigenza e dallo spunto dato dalle linee guida esistenti in Australia per i mass media, nel 2017, è nato il progetto #ChatSafe presso l’Orygen, the National Centre of Excellence in Youth Mental Health, a Melbourne, in Australia (centro leader mondiale per gli interventi precoci e la ricerca in ambito di salute mentale giovanile). Il gruppo di ricerca della professoressa Jo Robinson ha elaborato le linee guida #Chatsafe, per una comunicazione sicura ed efficace tra pari riguardo a i temi sopraindicati. 

In Italia, l’Associazione Italiana per la Prevenzione e l’Intervento Precoce in Salute Mentale (AIPP) ha avviato una collaborazione con Orygen per portare in Italia il progetto attraverso la traduzione di queste linee guida e la creazione di una rete di realtà italiane che aderiscano al progetto. Nel nostro dipartimento è attivo il programma Angelo Cocchi, il servizio di intervento precoce, che è una di queste realtà, insieme all’ASL3 genovese e il CPS giovani dell’ospedale Niguarda di Milano, ed in futuro la partecipazione verrà estesa ad altri dipartimenti lombardi, piemontesi e campani. L’obiettivo è creare una pagina Instagram dedicata alla sensibilizzazione su questi argomenti tramite la diffusione delle  linee guida. Ci aspettiamo che, attraverso un intervento di prevenzione, si possa promuovere una maggiore consapevolezza e partecipazione da parte dei ragazzi, nonché un miglior accesso alle cure per coloro che affrontano difficoltà”.

Qual è il ruolo degli adulti in questo contesto?

“Il ruolo degli adulti è cruciale: devono imparare a mettersi in ascolto e a orientare i giovani. Minimizzare il disagio di un ragazzo non è una soluzione efficace, poiché può farlo sentire svalutato. Spesso ci concentriamo su come insegnare, dimenticando che ascoltare è altrettanto essenziale. Sul sito di Orygen sono disponibili linee guida specifiche per i caregiver e gli insegnanti, che forniscono indicazioni pratiche su come relazionarsi con i ragazzi”.

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