Note minime in tema di telemedicina e responsabilità professionale

Gli ostacoli allo sviluppo della telemedicina in Italia non sono solo tecnologici: medici e strutture sanitarie dovranno affrontare nuove responsabilità. L'editoriale di Giovanni Del Signore, Avvocato e Dottore di ricerca presso l’Università di Roma La Sapienza
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Il D.M. 77/2022 – nello stabilire gli standard qualitativi, strutturali,  tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza territoriale e al sistema di prevenzione in ambito sanitario, ambientale e climatico – rinvia, inter alia, sia pure con valore descrittivo, all’allegato 1, il quale nel suo punto 15 definisce la telemedicina come una “modalità di erogazione di servizi e prestazioni assistenziali sanitarie sociosanitarie a rilevanza sanitaria a distanza, abilitata dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e utilizzata da un professionista sanitario per fornire prestazioni sanitarie agli assistiti (telemedicina professionista sanitario – assistito) o servizi di consulenza e supporto ad altri professionisti sanitari (telemedicina professionista sanitario – professionista sanitario)”. 

Il punto prosegue nell’iter descrittivo precisando che si è al cospetto di un approccio innovativo alla pratica sanitaria tale da consentire, se incluso in una rete di cure coordinate, l’erogazione di servizi e prestazioni a distanza attraverso l’uso di dispositivi digitali, internet, software e delle reti di telecomunicazione.

La definizione, se considerata nella prospettiva di suoi peculiari possibili riflessi in tema di responsabilità professionale, non suscita particolari chiose. La conclusione obbligata, non a caso largamente condivisa nella trattatistica sul tema, è quella cioè di essere di fronte ai vecchi problemi da leggere con le nuove lenti declinate dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I moderni strumenti di loro erogazione non mutano cioè la sostanza della questione che è sempre incarnata dalle prestazioni sanitarie e dal giudizio che su di esse va compiuto in termini di adeguatezza, proporzionalità, efficacia e sicurezza o, se si preferisce guardarla da un’angolazione prospettica causidica, in termini di ipotetico danno contrattuale e/o extracontrattuale e sua imputabilità soggettiva ed oggettiva. 

La conclusione rischia però di mutare non appena si proceda oltre nell’esame dell’art. 15 dell’allegato 1 di cui sopra. Ivi è dato infatti leggere: “La responsabilità professionale nel determinare l’idoneità dell’assistito alla fruizione di prestazioni di telemedicina e di teleassistenza è in capo ai medici o, per le  attività di teleassistenza, agli altri professionisti sanitari che, opportunamente formati all’uso delle  tecnologie, operativamente erogano le prestazioni a distanza, in quanto deputati a individuare gli strumenti più idonei per il singolo paziente, in un’ottica di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e  sicurezza, nel  pieno rispetto dei diritti della persona.

D’altro canto, affinché le prestazioni di telemedicina possano essere attivate, è necessaria una preventiva adesione da parte dell’assistito, che si rende disponibile al contatto telematico, all’interazione documentale e informativa con il professionista sanitario e a utilizzare i previsti sistemi di comunicazione remota, secondo le normative vigenti in tema di privacy e sicurezza.

In questo contesto, se il paziente è disponibile a ricevere la prestazione in telemedicina dal domicilio, il   suo “profilo tecnologico”, ovvero la sua conoscenza e capacità d’uso degli strumenti informatici, deve diventare parte dell’anamnesi. Al variare del tipo di prestazione di telemedicina erogata, e dei relativi requisiti minimi e dispositivi accessori associati, per il singolo assistito dovrebbero essere valutati i seguenti aspetti: 1) se sa usare o è in grado di imparare ad usare gli strumenti digitali di comunicazione (es. smartphone, tablet, computer con webcam); 2) se può usare autonomamente tali strumenti (disabilità fisica e cognitiva potrebbero limitarne la possibilità; 3) se può essere aiutato da un familiare o un caregiver nell’uso di tali strumenti; 4) l’idoneità al domicilio della rete internet, degli impianti (elettrici, idraulici, ecc.), degli ambienti e delle condizioni igienico-sanitarie”. 

È il professionista di settore che deve cioè, secondo i dettami ministeriali, valutare l’idoneità dell’assistito disponibile all’erogazione delle prestazioni a distanza non soltanto, com’è naturale ed ovvio, dal punto di vista strettamente medico, ma anche – il che è meno scontato – in ordine al suo “profilo tecnologico”, che sarà pertanto tenuto ad approfondire in sede di raccolta amnestica dei suoi dati. 

Dovrà così appurare, ai fini dell’eleggibilità alla telemedicina, non soltanto se sappia usare, ma addirittura se sia in grado di imparare ad avvalersi degli strumenti digitali di comunicazione, se possa essere all’uopo aiutato da terzi (dei quali del pari dovrà quindi essere preventivamente pesata l’attitudine “tecnologica” all’ausilio) e se il suo domicilio sia da ogni punto di vista (informatico, impiantistico, igienico-sanitario) attrezzato alla bisogna. 

Va da sé che il professionista dovrà poi altresì verificare il mantenimento nel tempo delle condizioni di complessiva idoneità dell’assistito e del suo domicilio testé menzionate. 

Un novero di impegni, insomma, che rischiano di estendere oltre misura l’area di plausibile responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie e, con loro, delle strutture socio-sanitarie pubbliche o private che si avvalgano del loro operato. 

Non va infatti dimenticato che queste ultime, ai sensi dell’art. 7 della L. 24/2017, rispondono a titolo di responsabilità contrattuale delle condotte dolose e colpose dei loro ausiliari anche avendo riguardo alle prestazioni erogate tramite servizi di telemedicina.

Presi alla lettera gli impegni di cui sopra potrebbero infatti condurre a configurare, sia pure a diverso titolo, una responsabilità di medici e strutture sanitarie per errori di valutazione del “profilo tecnologico” dell’assistito o di un suo familiare, per non avere adeguatamente vigilato in ordine al permanere dell’ausilio di quest’ultimo nell’impiego degli strumenti digitali, per carenze informatiche, impiantistiche o igieniche sanitarie, originarie o sopravvenute, del domicilio del medesimo assistito, etc.

Un plesso di ipotesi di responsabilità – che tra l’altro configura per alcuni versi un’estensione di alcuni obblighi di prestazione complessa, anche latu sensu alberghiera, tipicamente a carico degli organismi sanitari nelle strutture di loro pertinenza ad ambienti privati assai più difficilmente permeabili a forme di effettivo controllo ed intervento – che rischia di tradursi in un significativo argine all’auspicata pervasiva diffusione della telemedicina nel nostro Paese.

Cade pertanto in acconcio domandarsi se l’evidente discrasia tra il massivo impegno di risorse economiche nazionali e comunitarie destinato a tale strumento e il suo attuale timido impiego – impietosamente fotografato recentemente da Fiaso in una misura pari all’1% delle effettive potenzialità dei sistemi (fonte Sanità24 del 24 maggio 2024)- non vada ricondotta anche al comprensibile timore degli operatori di settore di incorrere in ipotesi di responsabilità come quelle testè declinate.

Sta per certo in ogni caso che il voto di diffuso e pervasivo impiego della telemedicina – con le molteplici miracolistiche finalità, anche di riduzione delle liste di attesa, assegnatele – difficilmente potrà essere onorato in assenza di quella chiara ed equilibrata disciplina delle responsabilità in ordine al suo impiego, della quale ancora, e malauguratamente, si fatica a vedere traccia

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