“Non mi piace la proposta dell’esercito in Pronto Soccorso, per risolvere il problema della violenza bisogna risolvere la crisi dei Pronto Soccorso. E questo non può essere fatto in fretta o con poca spesa. Forse, è troppo tardi per farlo a prescindere”.
Questa la lettura della situazione da parte del Dottor Adolfo Pagnanelli, già primario di Pronto Soccorso nel Lazio per 25 anni.
Perché la violenza cresce nei Pronto Soccorso?
“Uno dei motivi è la crescita dei tempi di attesa, ed ancor di più di quanto si rimane in Pronto Soccorso prima di riuscire ad essere ricoverati. L’aumento dell’attesa ha diverse cause. La prestazione di Pronto Soccorso è sempre più lunga e complessa, facciamo sempre più esami strumentali. Ora su 200 accessi si effettuano circa 60 esami importanti come la TAC. Le persone non si fidano più del giudizio del medico, se non fanno parecchi esami gli pare di non essere state curate.
A questo si aggiunga la medicina difensiva, l’incremento di procedure diagnostiche finalizzate a evitare problemi medico-legali e la crescente importanza, anche nella formazione dei giovani e delle giovani medici, data alla tecnologia a discapito della clinica, di ciò che il paziente racconta, di quanto emerge dalla visita. Spesso leggiamo che l’iperafflusso in PS è legato alle carenze dei servizi territoriali e della Medicina di Base, è anche vero, ma se tutti dai media alle tante serie TV esaltano il ruolo della diagnostica sempre più complessa sarà complicato far capire alle persone che non sempre è necessario ricorrere all’Ospedale, alle sue “macchine” ”.
Parlando di giovani medici: perché non scelgono più di lavorare in Pronto Soccorso?
“Rimane per me il modo più bello di fare il medico, ma certo è una vita non facile. Le motivazioni sono tante, il rischio di aggressioni come quello di subire denunce che quasi sempre si risolvono in un nulla di fatto, ma ti rovinano la vita per anni. E’ stata enfatizzata la motivazione economica, non è certo la scelta migliore per chi vuol guadagnare con la professione, ma forse pesa ancor di più lo sconvolgimento dei tempi di vita, le 6 o 7 notti al mese, i 3 week end lavorati non sono solo faticosi, rendono anche complicato allineare i propri tempi con quelli di un compagno o una compagna che fanno un lavoro diverso, normale.
“Ben oltre la metà dei posti di specialità per Emergenza Urgenza è rimasto vuoto nel 2023, quest’anno saranno ancora di più. Questo è un problema per tante altre specialità, quelle che fai in Ospedale e non nel tuo studio, in particolare quelle chirurgiche. E sono state fatte poco sensate, quest’anno ci sono stati 14mila candidati per 16mila posti. Questo comporta che il voto sufficiente per entrare Emergenza Urgenza, e non solo, è stato 0”. Quindi non c’è neppure selezione e garanzia di qualità.
C’è un circolo vizioso che si instaura?
“Meno medici ci sono a lavorare in Pronto Soccorso più i turni diventano massacranti, rendendo ancor meno appetibili questi posti! Ed anche la scelta di far lavorare gli specializzandi già dai primi anni è stata inevitabile per garantire il servizio, ma non indolore: interrompiamo la crescita professionale di questi colleghi e non siamo certi di garantire la stessa qualità.
Soluzioni pratiche?
“Credo che abbiamo finito molte di quelle ‘facili’ e che trovano spazio sulle pagine dei giornali. La sinergia con il territorio non sta dando i risultati sperati. L’esperienza dell’Emilia Romagna con i CAU, sebbene ancora giovane, non pare esaltante. L’esperienza del Lazio con gli Ambufest – gli ambulatori dei MMG aperti di domenica – nonostante 250mila visite dichiarate in un anno, non ha comportato una diminuzione degli accessi nei PS nel Lazio (circa 1,9 milioni all’anno). I politici fanno a gara nel proporre più assunzioni di Medici e Infermieri… peccato che non se ne possono assumere semplicemente perché non ce ne sono più”.
Risposte della politica o delle categorie?
“Non voglio essere autoreferenziale, ma il 18 settembre 2018 avevo scritto un articolo intitolato ‘Carenza di medici: cinque proposte per i Pronto soccorso in difficoltà’. Da allora, sei anni fa, non è cambiato nulla, eppure era chiaro che la situazione stava precipitando. Dieci o quindici anni fa non era un segreto che oggi sarebbero andati in pensione più medici di quelli che si sarebbero potuti assumere; c’erano i dati INPS. Ma nessuno ne ha tenuto conto. L’impressione è che i costi per risolvere la crisi del PS siano troppo alti: sta prevalendo l’inerzia fino a che non sarà troppo tardi”.
Filippo Anelli, Presidente nazionale dell’Ordirne dei medici (Fnomceo) ha riflettuto sulla possibilità di inviare l’esercito in Pronto Soccorso. Non è una soluzione?
“No, è l’ammissione che non c’è una soluzione. Certo i medici vanno protetti, ma la soluzione è risolvere la crisi dei Pronto Soccorso. Far intervenire l’Esercito è un modo per riconoscere che la crisi sarà perenne per cui possiamo solo blindare gli ospedali per ripararci dagli effetti”.
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