Il 15 ottobre 2024 presso la Sala del Commendatore all’ASL Roma 1 si è tenuto il convegno organizzato dall’associazione Altra Sanità “DM 70 e DM 77: quale effettiva integrazione tra ospedale e territorio?”
I temi trattati
Quando nel 2027 finiranno le risorse del Recovery Plan, il piano di potenziamento dell’assistenza territoriale dovrà essere a regime e dovrà basarsi solo sui finanziamenti nazionali. Come copriremo i costi del personale aggiuntivo delle Case della Comunità, dell’ADI e degli Ospedali di Comunità? E quanto costerà la tenuta in esercizio del nuovi sistemi informativi realizzati?
Il piano di finanziamento ipotizzato si basa prevalentemente sulla riduzione di spesa derivante dalla riforma delle cure territoriali (DM 77) per la riduzione dei ricoveri definiti “ad alto rischio di inappropriatezza” (322.254 giornate di ricovero), dalla riduzione degli accessi al Pronto Soccorso (8 milioni, 50% codici bianchi e verdi) e dalla razionalizzazione della spesa farmaceutica (1%).
Se è vero che la riforma del territorio prevede il concetto di presa in carico e l’adozione della medicina di iniziativa, anche attraverso il progetto di salute, bisogna osservare che, almeno inizialmente, il numero di pazienti che saranno coinvolti e trattati in questo modo sarà probabilmente marginale (il target è il 10% della popolazione over 65 anni).
C’è poi il grande tema se e quanto la digitalizzazione che stiamo realizzando è coerente con questi obiettivi che, senza di essa, sono difficilmente raggiungibili.
La nuova sanità territoriale richiede professionisti e strumenti ad hoc che però attualmente non ci sono ed il problema non è soltanto economico, ossia come mantenere in vita ciò che si sta realizzando ma sulla effettiva fattibilità delle iniziative che sono state previste.
I problemi
La prima grande criticità riguarda la copertura del personale medico nelle COT e nelle Case di Comunità. Le uscite per quiescenza previste per i prossimi anni andranno ad accentuare questa criticità.
Non è migliore la situazione per quanto riguarda gli infermieri, gli OSS e il personale di supporto. La riforma del DM 77 prevede un fabbisogno di quasi 30.000 unità, a cui vanno aggiunti quelli necessari per rimpiazzare i pensionamenti (soltanto nel periodo 2020 – 2026 vi andranno oltre 50.000 infermieri). Esiste un forte squilibrio tra la domanda e l’offerta, ossia il numero di infermieri e altro personale del comparto sanitario disponibili.
L’impressione è che il PNRR ed il DM 77 abbiano puntato molto sulle strutture edilizie (difficilmente realizzabili e ristrutturabili in tempi brevi vista la complessità delle normative di settore) forse eccedendo per alcune, in particolare per le Centrali Operative Territoriali ed Ospedaliere.
Altre criticità riguardano la rigidità sulle metriche: oggi i nuovi ospedali sono realizzati per intensità di cura e non per specialità, il riconoscimento delle professionalità, e quindi la retribuzione, sono basate sulla possibilità di gestire una unità operativa.
Un ulteriore elemento di criticità è la difformità delle gestioni regionali. Sociale a rilevanza sanitaria e Sanità sono due facce della stessa medaglia. Se Regioni, Comuni ed Aziende Sanitarie non collaborano è difficile gestire i pazienti fragili a domicilio. Perdipiù ancora sussistono Distretti ed Ambiti Sociali non coincidenti, fatto che complica ancora di più l’integrazione.
Ma quali strumenti digitali sono stati previsti per la nuova sanità territoriale?
Sappiamo che i sistemi informativi territoriali sono sempre stati “la Cenerentola” dell’informatica sanitaria. Mentre la digitalizzazione dell’ospedale ha avuto risorse e finanziamenti nel tempo, il territorio è sempre stato gestito con una miriade di applicazioni, non integrate tra loro e spesso di bassa qualità.
Nonostante ciò, mentre per la digitalizzazione degli ospedali sedi di DEA di primo e secondo livello sono stati stanziati più di un miliardo di euro, per la sanità territoriale sono stati stanziati 42 milioni per l’interconnessione delle COT e circa un miliardo e mezzo per la telemedicina, con l’obiettivo di assistere con questa modalità 300.000 pazienti entro il 2025.
Ma nella riforma del DM 77 non c’è solo la telemedicina ma molto di più: la medicina di popolazione e la medicina di iniziativa che dovrebbe essere imperniata sul Progetto di Salute. Ma con quali strumenti le ASL potranno svolgere queste funzioni? Non ci sono cartelle cliniche territoriali ma solo cartelle cliniche specialistiche per alcune branche. I software che gestiscono i PDTA e l’assistenza domiciliare – ADI – sono orientati alla gestione delle attività e alla loro rendicontazione. Non gestiscono informazioni cliniche e non sono in grado di misurare gli esiti degli interventi. Eppure non è importante, clinicamente parlando, misurare ciò che si fa ma piuttosto comprendere l’impatto e l’efficacia delle prestazioni erogate sulla salute delle persone. La medicina di iniziativa richiede software in grado di gestire il care management che non è solo la lista delle attività da svolgere.
Non è facile poi eseguire la profilazione dei pazienti, alla base della medicina di popolazione. Un primo ostacolo è rappresentato dalla privacy, ossia sui limiti che il Garante ha posto per questa pratica e le sanzioni che ha commminato a quelle regioni / aziende sanitarie che per prime hanno provato a realizzarla, anche se bisogna dire che in diversi casi queste hanno poi vinto il ricorso. Il timore di sanzioni e blocchi da parte dell’Autorità sta frenando molte aziende sanitarie. C’è poi da dire che i dati oggi disponibili per profilare i pazienti sono principalmente di tipo quantitativo e provenienti dai lussi informativi. Non essendoci data repository clinici (CDR) di tipo territoriale, con dati qualitativi, è difficile stimare la classe di rischio o il bisogno assistenziale dei pazienti.
Mancano poi, salvo rare eccezioni, sistemi per la gestione della “presa in carico” dal punto di vista clinico – assistenziale. Sistemi che permettano a medici e infermieri di avere una “vista integrata” dei dati del paziente (Unified Care Record), degli interventi e delle attività che vengono pianificate ed erogate nei diversi setting assistenziali, incluso l’ospedale, dei bisogni e della situazione sociale del paziente. Sistemi che permettano di definire gli obiettivi e che quindi consentano di avere indicatori per il loro monitoraggio. Non basta infatti definire cosa è necessario fare per un paziente ma anche comprendere l’effetto che le cure producono.
A questi ostacoli tecnici bisogna poi aggiungere gli aspetti culturali e organizzativi
I “silos” che compongono la sanità territoriale sono formati non solo da sistemi informativi ma da approcci e modelli organizzativi estremamente frammentati. L’integrazione delle cure è un paradigma prima che tecnico professionale, organizzativo. L’offerta di sistemi territoriali rilette la domanda che è sempre stata di bassa qualità e parcellizzata in tanti ambiti operativi. È mancata, e continua a mancare, una visione integrata delle cure territoriali. Non essendoci cartelle cliniche territoriali integrate, ogni manager con una visione ottimistica si arrangia e si deve arrangiare con ciò che ha.
Chi ha pianificato gli investimenti non ha avuto probabilmente questa percezione delle cose. Si è ritenuto importante finanziare la telemedicina, certamente utile ma non risolutiva, immaginando che i software che ci sono possano essere adoperati per svolgere le nuove funzioni. È un errore strategico che avrà ripercussioni sulla capacità di attuare il DM77.
Ma queste mancanze potrebbero anche essere utili per progettare un sistema che possa essere utilizzato in tutta la nazione da tutti i distretti e gli Ambiti Sociali superando le differenze ed avvicinando i Leps.