Nuove zone blu; pandemie non trasmissibili; ripensare l’età anziana; città come vettori di salute; payback e gender gap in Sanità

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Payback: la necessità di continuare il dialogo

“Confindustria dispositivi medici ribadisce l’urgenza di risolvere questa criticità per oggi, per il passato e per il futuro – afferma Anna Citarella vicepresidente Confindustria Dispositivi Medici, che prosegue –: si tratta di una norma che penalizza tutti i cittadini, i pazienti, le famiglie e le imprese. Non si può scaricare sulle imprese il fatto che la spesa non sia stata adeguata a coprire i reali fabbisogni di salute della popolazione. Quindi noi ne chiediamo la cancellazione”. La misura richiede alle aziende di pagare oltre 1 miliardo di euro in forma retroattiva per compensare lo sforamento delle spese regionali maturato fino al 2018 e pretenderà ulteriori miliardi per gli anni successivi. Secondo molti esperti autorevoli, infatti, il Payback – addebitando a molte aziende una cifra superiore a quella del loro bilancio annuale – porterà a rischio chiusura oltre 1.400 realtà, mettendo a rischio il lavoro di oltre 190.000 persone.

Gennaro Broya de Lucia presidente PMI Italia: “PMI sanità ribadisce l’urgenza di risolvere la problematica del payback anche per i dispositivi medici che crea un impatto devastante sull’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini e sulla tenuta di un comparto strategico come quello del MedTech italiano che sta per essere spazzato via da una norma iniqua, ingiusta e illegittima. Noi chiediamo al Ministero della Salute che entri immediatamente in campo per risolvere il disastro creato dall’applicazione di questa norma, prima che le conseguenze siano inevitabili sul tessuto produttivo italiano, sull’occupazione e sulla sanità italiana”.

La lunga crisi dei Pronto Soccorso

Serve un cambiamento netto nella gestione dei Pronto Soccorso in Italia per risolvere criticità irrisolte da anni: “La prima è trovare personale disposto a fare la vita del medico di pronto soccorso con un weekend libero al mese – dice Adolfo Pagnanelli, Direttore DEA Policlinico Campus Bio-Medico Roma. Su 100 posti messi a concorso non riusciamo a coprirne neppure 50. E quest’anno l’80% dei posti di specializzazione in medicina d’urgenza andrà deserto”.  

Longevità: quali sono le nuove zone blu?

“Una certa modernità, con abitudini alimentari sbagliate, vite sempre più stressanti e la riduzione del movimento quotidiano stanno mettendo a repentaglio le tradizionali zone blu”, ha spiegato Jorge Eduardo Vindas Lopez, Fondatore e Direttore della Asociación Peninsula de Nicoya, zona blu della Costa Rica. Ma se alcune zone blu si stanno restringendo, stanno però comparendo nuove zone blu, come certe aree di Martinica e Guadalupe e la Galizia.

“La grande opportunità che ci offrono gli studi su quei laboratori a cielo aperto che sono le zone blu – ha sottolineato il neuroscienziato Giovanni Scapagnini – è trasferire elementi di biologia positiva al maggior numero di persone possibile: trasmettere a tutti i “segreti di benessere” dei super sani. Un’operazione di enorme valore in un contesto come quello italiano in cui l’aspettativa di vita media è di 85 anni, ma l’aspettativa di vita in salute si ferma a 60”.

Ridurre il crescente gap tra aspettativa di vita e aspettativa di vita in salute l’obiettivo. Parte di questo obiettivo è “pensare un’età anziana nella cultura e nella società – dice l’On.Paolo Ciani, segretario della XII commissione della Camera dei Deputati politiche sociali e sanitarie -. Negli ultimi 200 anni c’è stata una grande riflessione sull’infanzia. Una riflessione simile e una elaborazione culturale simile sull’età degli anziani non è ancora stata fatta ed è il momento di farla”. 

Le pandemie “non trasmissibili” del III Millennio

Tra queste il lipedema, patologia riconosciuta dall’Oms solo nel 2018, che – come ha spiegato Sandro Michelini, angiologo e Presidente dell’Associazione Internazionale LWA – Lipedema World Alliance – è una patologia cronica, sottostimata, multifattoriale e fortemente disabilitante fisicamente e psicologicamente, sulla quale uno stile di vita che tenga sotto controllo l’infiammazione incide molto positivamente”. 

La buona notizia è che oltre il 70% delle principali cause di mortalità, associate a patologie come malattie cardiovascolari, diabete mellito, obesità, sindrome metabolica, malattie neurodegenerative e cancro, può essere prevenuto semplicemente migliorando il proprio stile di vita. Interventi come restrizione calorica, esercizio fisico, smettere di fumare e ridurre l’esposizione agli inquinanti possono modulare l’espressione dei geni. “Le ultime ricerche – dice David Brenner, professore di Cancer Metabolism negli Stati Uniti – ci dicono che la differenza tra età cronologica ed età biologica non è genetica, ma epigenetica; dovuta, cioè, all’espressione dei geni che provocano l’invecchiamento cellulare e che è guidata da fattori come l’infiammazione. Fattori, a loro volta, legati in maniera particolarmente forte all’alimentazione”. Su queste basi, il medico e scienziato Eugenio Luigi Iorio ha fondato nel 2014 ad Ascea l’Università Popolare di Medicina degli Stili di Vita, che si basa su quattro pilastri: alimentazione, esercizio fisico, spiritualità e integrazione sociale.

Città sane, persone sane

In quest’ottica le città vanno ripensate come fattore di salute e analizzate come fattore di rischio. “Entro il 2030, il 70% della popolazione vivrà nelle città e questo porterà ad un sovraffollamento dei centri urbani. Bisogna voltare lo sguardo ai contesti nord europei che adottano modelli di vita più sostenibili.  Incentivare la mobilità dolce, aumentare le aree verdi che riducono il rischio di malattie non trasmissibili e migliorano la salute mentale. Occorre adottare una pianificazione urbana orientata alla tutela della salute che possa ridurre gli effetti negativi del cambiamento climatico” ha detto Fabio Mosca, Professore Ordinario di Pediatria – Università degli Studi di Milano; Delegato del Rettore sui temi della Salute Urbana – Università degli Studi di Milano.

La parità di genere come veicolo di salute 

Oggigiorno, in sanità 7 operatori sanitari su 10 sono donne, ma meno di 3 su 10 occupano una posizione di leadership. Non è solo un tema di parità. È un tema di inclusione, diritto alle cure e, anche, di sicurezza sul luogo di lavoro, che interessa tutti e tutte perché non si può puntare ad una sanità umano-centrica, inclusiva e declinata sulle diverse esigenze dei singoli se non si risolve, attraverso la parità di genere, la più vistosa e diffusa delle disparità.

“È un tema centrale – dice Monica Calamai Direttore Generale AUSL Ferrara, Presidente Associazione Donne Protagoniste in Sanità -. Un tema così importante tanto che è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, è l’obiettivo 5, andare a eliminare il gender. Negli anni abbiamo focalizzato la nostra attenzione sulla violenza di genere piuttosto che sulla medicina di genere che è un altro modo per dire: cure personalizzate adatte alla singola persona. Le differenze fra uomo, donna non sono legate unicamente da quello che è l’apparato genitale, e riproduttivo, ma sono legate a una molteplicità di fattori che influenzano sia la genesi della malattia che la risposta alle cure e le risposte alle ricerche scientifiche”.  

La sinergia in nome della ricerca  

Una società dove si investe nella ricerca è più civile, che sta meglio e dove la qualità della vita è migliore” ha detto Angelo Aliquò Direttore Generale AO San Camillo Forlanini. Pubblico e Privato possono collaborare a questo obiettivo.

Quando si parla di ricerca gli obiettivi devono essere ambiziosi. Si può fare molto di più di quanto non sia stato fatto finora. Io credo che tutto ciò che rientra nell’ambito della ricerca sia un valore aggiunto ma non solo al livello teorico. Per tantissimo tempo abbiamo agito seguendo delle regole che ci hanno portato a credere che il privato rappresentasse in qualche maniera un problema, un ostacolo, finendo per rappresentare un limite per la ricerca. Invece è importante capire come le energie, le conoscenze, le strutture e le esperienze sono un tesoro di collaborazioni in primis con le strutture sanitarie di altri paesi, mancando invece di connessione con noi. Io sono convinto che nel rispetto delle regole si possa raggiungere un risultato importante, io l’ho fatto e continuerò a farlo. Non dobbiamo porre limiti alla possibilità di collaborazione e di sinergia, ma piuttosto trarre vantaggi gli uni dagli altri”.

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