La combinazione di più biomarcatori può permettere di individuare le persone a maggior rischio di sviluppare l’Alzheimer tra quelle che soffrono di un disturbo cognitivo lieve. Lo dimostrano i primi risultati del progetto nazionale Interceptor, promosso e finanziato nel 2018 dal Ministero della Salute e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), presentati durante il Convegno organizzato dall’Osservatorio Demenze del Centro Nazionale Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute (CNaPPS) dell’ISS, dal Dipartimento Neuroscienze – Unità Clinica della Memoria del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e dal Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele.
“Il Progetto Interceptor, finanziato da AIFA, rappresenta un passo avanti fondamentale verso l’individuazione di biomarcatori in grado di predire chi, affetto da disturbi cognitivi lievi, avrà in seguito maggiori possibilità di sviluppare l’Alzheimer. Consentendo così un utilizzo più mirato di terapie altamente costose, che rischierebbero altrimenti di mettere in seria crisi l’intero sistema di assistenza sanitaria” ha affermato il Presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Robert Nisticò.
Otto biomarcatori per predire il rischio di Alzheimer
Lo studio ha coinvolto 351 pazienti con declino cognitivo lieve (MCI), arruolati in 19 centri clinici italiani e seguiti per una media di 2,3 anni, con valutazioni neuropsicologiche e funzionali ogni 6 mesi. I partecipanti sono stati sottoposti a una serie di test per rilevare biomarcatori correlati alla progressione della malattia, tra cui:
- MMSE per la valutazione delle funzioni cognitive;
- DFR per la valutazione della memoria episodica;
- FDG PET per l’analisi dell’attività metabolica cerebrale;
- Risonanza Magnetica (RM) volumetrica per la valutazione dell’atrofia ippocampale;
- EEG per lo studio della connettività cerebrale;
- Test genetico APOE e4;
- Esame del liquido rachidiano per la misurazione dei markers biologici di malattia di Alzheimer.
Durante il follow-up 104 pazienti con MCI sono progrediti ad una forma di Demenza, di questi 85 verso la diagnosi clinica di Demenza di Alzheimer (AD).
Questo modello ha dimostrato buone capacità prognostiche nel predire la conversione a demenza, classificando correttamente l’81,6% delle persone con MCI, sia quelle che convertiranno a demenza che quelle che resteranno stabili.
Implicazioni per le nuove terapie
“Solo l’integrazione tra dati clinici e biomarcatori nel modello predittivo permette di superare la soglia dell’80% di accuratezza predittiva, considerata adeguata a programmi di screening e prevenzione di salute pubblica” ha affermato Nicola Vanacore, ricercatore del Cnespss-Iss.
Tra le terapie in fase di valutazione vi è il lecanemab, un anticorpo monoclonale recentemente approvato dall’EMA, progettato per ridurre l’accumulo di beta-amiloide nel cervello. Tuttavia, gli esperti sottolineano che la sua efficacia clinica è ancora oggetto di studio. “Possiamo dire che questo, come altri già approvati dalla FDA americana, sono farmaci che rallentano il decorso della malattia, ma lo fanno in maniera transitoria e la loro efficacia a lungo termine è ancora tutta da verificare”, ha spiegato Nisticò.
Prospettive future
La comunità di Ricercatori di Interceptor si propone ora per un Interceptor 2.0 per validare il modello su un relativamente piccolo numero di soggetti e verificare sul campo la capacità di selezione dei soggetti ad alto rischio e di erogazione e monitoraggio del farmaco. “Ulteriori risultati saranno certamente disponibili nei prossimi mesi e anni, inclusi quelli ottenibili attraverso algoritmi di Intelligenza Artificiale. Da queste analisi sono emersi importanti rilievi scientifici ed organizzativi per la lotta alle demenze, in particolare per una diagnosi precoce ed anche per una prevenzione efficace” ha dichiarato Paolo Maria Rossini, promotore del progetto e responsabile del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’IRCCS San Raffaele Roma.
Il trattamento dell’Alzheimer deve essere basato su una combinazione di prevenzione, terapie integrate e medicina di precisione, come sottolineato da Robert Nisticò: “L’Alzheimer è una malattia molto complessa che va aggredita sia con la prevenzione che con terapie in combinazione. Poi con biomarcatori che consentiranno di fare diagnosi e capire la prognosi saranno in futuro importanti le cosiddette terapie target, capaci di colpire il bersaglio più giusto per ciascun paziente. Questo nell’ambito di un approccio che è quello della medicina di precisione, alla quale AIFA sta lavorando con un Tavolo tecnico che raccoglie le più importanti società medico scientifiche e i rappresentanti dei medici”.