Si può arginare il calo dei medici specialisti?

Posti vuoti alle specialità e dati sempre peggiori: una riflessione con Adolfo Pagnanelli su numero chiuso, calo demografico, ‘prestito d’onore’ per i neo-medici, dati INPS e programmazione in Sanità.
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“Prima ancora che si consegnassero i testi d’esame, sapevamo che, nel 2024, 2mila dei 16mila posti nelle Specialità mediche sarebbero rimasti vuoti. Non è un fenomeno nuovo” spiega Alfonso Pagnanelli, Direttore DEA Policlinico Campus Bio-Medico Roma e già primario di Pronto Soccorso nel Lazio per 25 anni. “Nel 2022, secondo i dati Anaao giovani pubblicati su Quotidiano Sanità*, 6 specializzazioni rimanevano ‘vuote’ per oltre il 50%. Nel 2024 sono salite a 12”.

I dati delle Specialità mediche in Italia

Non tutte le specializzazioni sono in difficoltà: 26 su 51 vedono tra il 90 e il 100 per cento dei posti assegnati tra cui: dermatologia, chirurgia plastica, pediatria e oftalmologia. 

All’estremo opposto dello spettro si trova Anatomia Patologica (quasi il 90% delle posizioni rimaste vacanti). Sotto il 50% anche Medicina di Urgenza&Emergenza, Medicina di Comunità, Statistica medica, Microbiologia, Virologia e Biochimica. Tra il 50% e il 90% la maggior parte delle chirurgie. 

A questi dati vanno aggiunti quelli degli abbandoni, bassi per l’Università (6% la stima). Più significativi, dati i numeri già ‘in rosso’ per le specialità, in media il 5%.

Le implicazioni 

“Assenza di medici in molte delle discipline più ‘usuranti’ o cruciali nel percorso diagnostico – Anatomia Patologica in primis – ma, anche, l’impossibilità di fare selezione. Il punteggio minimo per accedere a molte Specialità è zero. Basta presentarsi”.

Ieri e oggi: da un eccesso all’altro.

“Tra il 1981 e il 1987 si attraversò il picco inflattivo della professione medica con pochissimi concorsi e, conseguentemente, forte perdita della capacità contrattuale e della dignità professionale della categoria. Oggi la mancanza di persone è grave su tutto l’arco formativo/professionale: Università, Specialità, concorsi pubblci. 

Nell’ultimo grande concorso dedicato ai posti di Medicina d’Urgenza-Emergenza sono stati assegnati 40 posti dei 150 disponibili. 

Il problema è stratificato: non ci sono abbastanza giovani, non ci sono abbastanza giovani medici, non ci sono abbastanza medici specialisti”. 

Dove la situazione è più grave? 

Nel mondo delle Specialità. Secondo alcune analisi, basate sulle proiezioni decennali sviluppate da Anaao/ALS 18 mesi fa**, il numero di neolaureti sarà sufficiente, entro il 2030, a colmare quello dei pensionati (136mila vs 113mila) ma, ed è crucialenon ad occupare i posti disponibili per Specialità (nell’ordine dei 125mila posti con una stima di assegnazione di 103mila) e delle circa 2100 borse di studio per MMG annuali (21mila nella decade). In definitiva la stima di 136mila neomedici tra il 2021 e il 2030 parte già insufficiente a coprire la stima delle 146mila possibilità formative post-laurea, senza contare le persone che andranno all’estero, gli abbandoni o i licenziamenti volontari.

Per le Specialità, perciò, la carenza è grave e urgente. E lo è, in maniera gravissima, per quelle Specialità che hanno più contatto con il pubblico e meno possibilità di lavoro nel privato”. 

Le cause della mancanza di Medici?

“Sono almeno 5 anni che il problema è emerso con prepotenza, ma né politica né Società scientifiche hanno saputo rispondervi. L’INPS ci può dire, e senza particolare difficoltà, quanti medici andranno in pensione nei prossimi anni. Nessun, finora, è riuscito ad agire in maniera efficace su questa previsione. Anche quest’anno, perciò, molte migliaia di MMG andranno in pensione senza essere sostituiti. 

Ci sono tante cause per le quali mancano i medici: contrazione demografica, stipendi bassi, emigrazione etc. Ma c’è una, in particolare, sulla quale possiamo intervenire: la totale assenza di programmazione che ci ha caratterizzato finora“.

Soluzioni? 

“È facile puntare il dito sul numero chiuso all’Università, ma penso sia anche sbagliato. Più ragionevole è tarare meglio il numero chiuso sulle previsioni di pensionamento e, soprattutto, sui bisogni delle specialità, ampliando il margine di sicurezza in modo da poter sia fare un minimo di selezione sia affrontare gli inevitabili abbandoni e licenziamenti. La carenza di medici non è un fenomeno nuovo o localizzato, infatti, ma articolato in diversi livelli e spazi di tempo. Bisogna partire con la consapevolezza che qualsiasi intervento, poi, avrà effetto non prima della fine del ciclo di studi: oltre 6 anni.

Un altro problema legato al numero chiuso è la classifica nazionale: i primi scelgono dove andare; gli altri devono raggiungere Università lontane anche centinaia di chilometri, il che pone un problema di ceto. Non tutti se lo possono permettere. Da valutare. 

La ‘fuga all’estero’ è un problema serio. È una perdita finanziaria importante per lo Stato italiano. La formazione di un medico comporta un costo 100mila euro. 150.000 euro per uno specialista. Su questo tema forse un intervento legislativo sarebbe opportuno. Una sorta di prestito d’onore che vincoli chi studia in Italia a lavorare in Italia per un numero di anni, fatto salvo il perfezionamento all’estero che è sempre stato importante per la Medicina italiana e non solo. Tra il 2008 e il 2018, secondo dati Ocse elaborati dalla Corte dei Conti, 11mila medici italiani sono andati a lavorare all’estero”.

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