Offrire cure specialistiche a pazienti stranieri privi di copertura del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non è solo un atto di assistenza sanitaria, ma un impegno concreto verso l’equità e la solidarietà. È questo il modello adottato dall’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste, che dal 2019 al 2024 ha curato 724 pazienti provenienti da oltre 30 Paesi, per un totale di 1.159 ricoveri. Si tratta di un’attività complessa, che si inserisce in un quadro di emergenze sanitarie e sociali globali.
Un impegno consolidato nella cura dei più fragili
L’Istituto triestino, centro di riferimento per la salute della donna e del bambino, vanta una lunga storia di assistenza. Fondato nel 1856 come “Ospedale Infantile” dell’Impero Austro-Ungarico, il Burlo mantiene vivo il suo spirito originario, aggiornandolo al contesto contemporaneo. Oggi accoglie pazienti che non possono accedere a cure adeguate nei Paesi d’origine, offrendo loro trattamenti ad alta complessità per patologie oncologiche, chirurgiche, ortopediche e neuropsichiatriche.
La maggior parte dei pazienti proviene da Paesi balcanici, ma non mancano arrivi da zone di conflitto, come l’Ucraina e la Palestina, dove la guerra aggrava ulteriormente la carenza di risorse sanitarie. Alcuni bambini, gravemente mutilati o affetti da patologie complesse, trovano nel Burlo un punto di riferimento per interventi salvavita.
Una rete di supporto organizzata
Per rendere possibile questa attività, l’Istituto si avvale di un Ufficio per la sanità transfrontaliera, che opera in sinergia con istituzioni locali, ministeri, ambasciate e associazioni di volontariato. Questo sistema organizzativo garantisce che l’accesso alle cure avvenga nel rispetto delle normative, anche grazie al supporto economico e logistico offerto da numerose Onlus nazionali e internazionali.
Come spiega Barbara Fari, responsabile dell’Ufficio sanità transfrontaliera, il Burlo risponde a un fenomeno globale di mobilità sanitaria: «Sempre più persone si spostano per lavoro, studio, turismo o per fuggire da conflitti, e spesso cercano cure che nei loro Paesi non sono disponibili per mancanza di risorse o tecnologie adeguate».
Formazione e collaborazioni internazionali
Oltre alla cura dei pazienti, il Burlo investe nella formazione di personale sanitario straniero. Medici e infermieri provenienti da Romania, Kurdistan iracheno e altre aree critiche partecipano a stage formativi presso l’Istituto, acquisendo competenze che potranno poi applicare nei propri Paesi. Questo approccio contribuisce a rafforzare le capacità dei sistemi sanitari locali, creando le basi per una continuità assistenziale sostenibile.
Una pratica da valorizzare
L’attività del Burlo Garofolo rappresenta un esempio di buona pratica sanitaria che coniuga competenze cliniche, organizzazione e impegno etico. Come sottolinea Stefano Dorbolò, Direttore Generale dell’Istituto, «offrire cure a pazienti stranieri privi di copertura sanitaria significa dare loro una speranza concreta, offrendo accesso a trattamenti altamente specializzati. Questo lavoro non solo salva vite, ma costruisce ponti di solidarietà e collaborazione internazionale».
In un contesto sempre più globalizzato, il modello del Burlo dimostra come la sanità pubblica possa andare oltre i confini nazionali, rispondendo a bisogni complessi e promuovendo un sistema di cura equo e inclusivo. Una lezione preziosa, che merita attenzione e riflessione, soprattutto in un’epoca in cui la salute è sempre più una questione globale.