Un recente studio pubblicato sulla rivista PLOS Medicine conferma come gli adulti con una storia di depressione sviluppino condizioni fisiche croniche circa il 30% più rapidamente rispetto a chi non ha mai sofferto di questo disturbo. La ricerca, condotta da Kelly Fleetwood dell’Università di Edimburgo, offre spunti di riflessione sulla necessità di ripensare i modelli assistenziali con un approccio più integrato tra salute mentale e fisica.
I dati dello studio
L’indagine ha analizzato i dati di 172.556 volontari del database UK Biobank, con un’età compresa tra i 40 e i 71 anni, monitorati per un periodo medio di 6,9 anni. Lo studio ha esaminato 69 condizioni fisiche, evidenziando una correlazione tra depressione pregressa e insorgenza di patologie croniche.
All’inizio dello studio, chi aveva una storia di depressione presentava mediamente tre condizioni di salute rispetto alle due di chi non ne aveva sofferto. Nel tempo, il primo gruppo ha accumulato in media 0,2 nuove patologie all’anno, contro le 0,16 degli altri partecipanti. Tra le condizioni più comuni emergono osteoartrite (15,7% contro 12,5%), ipertensione (12,9% contro 12%) e malattia da reflusso gastroesofageo (13,8% contro 9,6%).
Verso un modello di assistenza più efficace
I risultati dello studio rafforzano l’idea che la depressione non sia solo una condizione mentale, ma un indicatore di rischio per la salute fisica nel lungo termine. Tuttavia, i modelli di assistenza attuali restano in gran parte focalizzati su singole patologie, trascurando la complessità di chi convive con più disturbi contemporaneamente.
Secondo gli autori, serve una strategia sanitaria più multidisciplinare, capace di affrontare in maniera congiunta gli aspetti fisici e psicologici della salute. “Le persone con una storia di depressione hanno un rischio maggiore di sviluppare malattie croniche come quelle cardiovascolari e il diabete. Tuttavia, i servizi sanitari attuali sono strutturati per trattare condizioni specifiche piuttosto che considerare il paziente nella sua globalità“, spiega Fleetwood.
Questa ricerca sottolinea la necessità di modelli di cura più integrati e personalizzati, per rispondere in modo più efficace alle sfide poste dalla salute mentale e fisica nel lungo periodo.