Questo articolo è la settima parte di Occhi senza volti: 1. Dal passato al presente
Ho riportato il settore di applicazione dell’Oculistica che, a mio avviso, maggiormente si presta ad innovazione, non tanto dal punto di vista informatico, ma proprio di mentalità.
Ho citato che tre grandi cause di ipovisione al mondo possono essere identificabili, o almeno sospettabili, in un’immagine del fondo oculare, così come è richiesta ora (dal 1 aprile, al momento) dalla normativa LEA per la pratica clinica di routine.
Multiscreening
In alcuni Paesi (forti esperienze sono condotte in Cina) si sta cominciando ad adottare la prospettiva del multiscreening. Da una sola foto, cioè, cercare di identificare non solo segni di RD, ma anche di DMLE o – per quanto possibile senza visione tridimensionale e, quindi, valorizzando e cercando surrogati – il glaucoma. Sembra banale, ma non esiste ancora una strategia definita che contempli uno screening non limitato alle lesioni diabetiche, anche se la letteratura internazionale sugli “incidental findings” (reperti di altre lesioni in corso di screening per RD) è ricca.
E proprio qui si inserisce un mondo in rapida evoluzione, quello dell’Intelligenza Artificiale (IA). Alcuni anni fa ha iniziato ad affacciarsi anche in Oculistica, applicandosi allo screening per la RD, ed ora in via di estensione al multiscreening.
IA nella pratica clinica
Ormai, la mole di lavori sulle applicazioni IA è imponente: gli USA hanno fatto un grande passo avanti autorizzandone l’applicazione alla pratica clinica, in Italia tale passo deve attendere una normazione ancora tutta da creare, come si è detto.
Gli algoritmi disponibili sono prevalentemente binari, del tipo patologia sì/no. Ciò significa che avvisano l’utente, generalmente un diabetologo che fotografa un paziente nella sua struttura, se sono presenti segni di RD tali da indirizzare a visita oculistica, mediante un semaforo verde o rosso. Algoritmi più avanzati forniscono anche una vera e propria stadiazione della patologia.
Naturalmente, uno degli obiettivi fondamentali della ricerca è quello di applicare tale metodologia ai Paesi in via di sviluppo, dove la copertura sanitaria è scarsa: avere la possibilità di un “filtro” IA per non impegnare personale sanitario in casi negativi è certamente costo-efficace.
La validazione della metodica procede a grandi passi: la sensibilità e la specificità sono affidabili, a volte anche maggiori rispetto all’occhio umano, ed il percorso diagnostico è comunque agile. Pertanto per gli oculisti si prospetta, in teoria, un futuro nel quale il tempo da dedicare alla visione di fondi oculari, che – almeno nella RD – generalmente nei 2/3 dei casi sono negativi, si ridurrà fortemente.
“Alcuni limiti”
Ma, come alla fine di ogni pubblicazione scientifica, è opportuno ricordare alcuni limiti, su cui lavorare:
- La retina può contenere espressioni patologiche mutuate da una patologia di base (il diabete, l’ipertensione), ma soffre anche di proprie, e non solo il glaucoma e la DMLE. Non riconoscere, da parte di un algoritmo IA anche molto ben progettato ed istruito, un tumore oculare o un’altra patologia lesiva per la vista, oltre ad un danno per il paziente può creare problemi medico-legali importanti, anche se dai contorni ancora non ben definiti a livello internazionale;
- I “semafori rossi” per la RD sono molto accurati ma, anche se avvisano che nell’immagine c’è un quadro che rientra in una classe diagnostica pericolosa per la vista (“sight-threatening”), non possono (ancora) decidere quanto velocemente esso possa evolvere. Anche se alcuni algoritmi affiancano al semaforo rosso la necessità di una supervisione oculistica con un percorso preferenziale, non è detto che tale preferenzialità arrivi in tempo a bloccare la minaccia, innescando anche in questo caso problematiche di rilievo. Una soluzione potrebbe essere sottoporre tutte le immagini con semaforo rosso a supervisione immediata tramite trasmissione in telemedicina;
- Il workflow deve prevedere, oltre ad un percorso formativo e ad un sistema di controllo di qualità blindati, anche la necessità di migliorare quello che oggi si definisce “empowerment” del paziente: dal momento in cui si crea comunque un’occasione di contatto, va sempre specificato che una fotografia del fondo non sostituisce una visita oculistica complessiva, e bisogna incoraggiare i pazienti stessi a sottoporsi a controlli periodici, secondo il parere del MMG e/o dell’oculista di riferimento, rinforzando la portata dell’atto di prevenzione.
In conclusione
Anche in Oculistica il terzo millennio sta sancendo la transizione dalla Storia analogica a quella digitale, ma, come per tutto il resto delle innumerevoli componenti della Storia, resta fondamentale che ci sia sempre una mente umana in grado di scriverla e, soprattutto, commentarla con il coraggio di “correggere il tiro”.
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