Neurogenesi: la prima terapia farmacologica sta nascendo in Italia 

Il danno cerebrale può essere curato: completato lo studio pilota del Prof. Antonio Chiaretti al Gemelli di Roma con il Nerve Growt Factor ricombinante umano. I bambini in stato vegetativo tornano ad aprire gli occhi. Perché succede ora e quali saranno i passi successivi della ricerca.
Cervello

Un studio pilota ha utilizzato per la prima volta il Nerve Growt Factor come medicinale per riparare i danni celebrali di 10 bambini in stato vegetativo e senza possibilità nota di guarigione in seguito a trauma, ischemia o emorragia cerebrali. La somministrazione è avvenuta per via intranasale previa nebulizzazione del farmaco stesso. I bambini, dopo la terapia,hanno cominciato a reagire al mondo esterno, aprire gli occhi quando chiamati e hanno smesso di essere spastici, una condizione che subentra solitamente dopo 5,6 mesi dal danno cerebrale e irrigidisce gravemente la muscolatura dei pazienti

Lo studio è stato condotto dal Professore Antonio Chiaretti, Direttore del Pronto Soccorso Pediatrico del Policlinico Gemelli di Roma, in seguito a un grant di una Ricerca Finalizzata.

Neurogenesi: non più un miraggio 

Per molti anni si è pensato che il danno al cervello e ai tessuti nervosi fosse sostanzialmente irreparabile. Che il numero dei neuroni fosse finito e che, una volta morta o danneggiata oltre le sue capacità di ripararsi autonomamente, una cellula nervosa non potesse rigenerarsi o essere sostituita da una nuova cellula differenziatasi dopo il danno. “Questa convinzione è erronea e superata –spiega il professore –. Diversi studi recenti, sperimentali su animali e clinici su esseri umani, il nostro incluso, dimostrano che il cervello può ripararsi, e che il Nerve Growth Factor (NGF), la stessa molecola scoperta da Rita Levi Montalcini, può indurre cellule staminali note come neuroblasti ad evolvere in nuovi neuroni e che, in generale, questa neurotrofina è in grado di riattivare parti danneggiate del cervello. 

La scoperta del NGF è di 70 anni fa. Perché la sua ricerca ha successo solo ora? 

“Perché fino a 4 anni fa non era possibile disporre di una NFG ricombinante umano da utilizzare come medicinale. La molecola scoperta dalla Montalcini era, infatti, una molecola murina, estratta dai topi, e non poteva essere utilizzata sulle persone senza forti e gravi complicazioni immunitarie. La sintesi in laboratorio di una molecola sostanzialmente uguale a quella prodotta in maniera endogena dal nostro organismo ha permesso una somministrazione sicura. Inoltre, l’NGF è una molecola di grandi dimensioni: se iniettata per via endovenosa non riesce a raggiungere il cervello venendo bloccata dalla barriera emato-encefalica che protegge il nostro cervello. Al Gemelli abbiamo, prima, nebulizzato il farmaco e l’abbiamo, poi, somministrato per via intranasale. Il naso è, infatti, l’unica regione del corpo dove il cervello è a contatto con l’esterno. La molecola viene assorbita dalle terminazioni del nervo olfattorio e veicolata, successivamente, all’interno del parenchima cerebrale”.

Qual è l’azione del NGF all’interno del cervello?

Il NGF ricombinante umano è l’unica neurotrofina validata per uso clinico. La molecola agisce su tre livelli nel cervello.

  • Migliora la vascolarizzazione delle aree colpite dal danno cerebrale
  • Migliora il metabolismo delle cellule cerebrali compromesse dal trauma o dalla carenza di ossigeno
  • Blocca la degenerazione e la morte delle cellule sopravvissute ma danneggiate.

“Il risultato finale – spiega Antonio Chiaretti – è la neurogenesi: la rigenerazione di nuove cellule cerebrali che sostituiscono quelle morte o danneggiate del cervello 

Quanto tempo ci vorrà per trasformare questi primi risultati in una terapia alla portata di tutte le famiglie che affrontano le conseguenze di un danno cerebrale?

Ci vorranno anni. Spero pochi. I nostri primi risultati sono incoraggianti e sono stati pubblicati recentemente. I primi casi nel 2020 e gli ultimi nel 2024 in diverse riviste scientifiche. La comunità scientifica sta reagendo con interesse. Ovviamente, l’interesse maggiore è quello delle famiglie con bambini che soffrono di tali condizioni cliniche estremamente invalidanti. Purtroppo, allo stato attuale non possiamo ancora disporre di questo farmaco, finchè non vengano compiuti tutte gli step scientifici necessari in questi casi e le Autorità Regolatorie abbiano rilasciato il loro parere condizionante.

Forse è ancora presto per parlarne, ma non è possibile sollevare la possibilità della neurogenesi senza pensare alla crescente e inquietante incidenza di malattie neurodegenerative e demenze. 

Di solito sono i farmaci scoperti per gli adulti a venir successivamente erogati ai bambini. In questo caso potrebbe essere l’inverso. Io sono un pediatra e il mio contributo si fermerà al mio campo ma sì, certo, la grande speranza è che, una volta messa a punto una terapia per curare il danno cerebrale, questa possa divenire uno strumento per i ricercatori delle neuroscienze in generale. Possiamo solo sperare. E continuare a fare ricerca nel modo più scrupoloso e indefesso possibile”.

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di Tommaso Vesentini

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