Quelle cardiovascolari non sono malattie maschili, ma il loro impatto sulle donne è sottostimato, sottodiagnosticato e sottorappresentato negli studi clinici sebbene, a livello globale, le malattie cardiovascolari siano la principale causa di morte per le persone di sesso femminile.
I dati
Il problema sussiste da molto tempo. Il rischio cardiovascolare delle donne è sottostimato sia dalla sanità che dalle donne stesse. La prima sottostima del rischio cardiovascolare nelle donne è stata descritta in un editoriale del 1991 sul New England Journal of Medicine, dove questa condizione prendeva il nome di “Sindrome di Yentl”.
Una recente Consensus della British Cardiovascular Society, pubblicata sulla rivista Heart, ha confermato questa sottostima sottolineando la necessità di garantire parità di assistenza e cure delle donne con malattie cardiovascolari nel mondo. I numeri sono allarmanti anche in Italia, ogni 5 minuti una donna viene colpita da un infarto o da un’altra malattia cardiovascolare per un totale di 124 mila casi all’anno. La malattia coronarica interessa 1 donna su 9 tra i 45 e i 64 anni e 1 su 3 dopo i 65 anni. Tra queste donne il rischio di morte è del 31%, una percentuale decisamente superiore a quella di un’altra patologia, nota e temuta dalle donne, quale il tumore al seno.
Di questo e molto altri, hanno discusso a Napoli gli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), durante il convegno tutto al femminile “GISE Women. Complex clinical scenarios in interventional cardiology: what is the role of gender medicine?”, interamente dedicato alla salute del cuore femminile.
Le motivazioni
“Le donne hanno fattori ormonali protettivi nei confronti degli eventi cardiovascolari – spiega Francesco Saia, presidente GISE – ritardando di circa 10 anni la comparsa delle malattie aterosclerotiche e alla cardiopatia ischemica rispetto agli uomini. Questo è uno dei motivi che ha generato la sottovalutazione del problema, aggravato dal ritardo nel rivolgersi ai sanitari, che è più frequente nelle donne, ed è aggravata da meno esami diagnostici e conseguenti diagnosi tardive.
In realtà, fattori legati al sesso influenzano l’epidemiologia, la fisiopatologia e la presentazione clinica di tutti quadri di malattia cardiovascolare, dalla malattia coronarica, a quella dello scompenso cardiaco passando per le peculiarità di espressione delle patologie valvolari che possono condizionare la diagnosi ma soprattutto il trattamento di ciascuna di esse”, continua Saia.
Le mancate terapie
In particolare, nonostante le linee guida internazionali sostengano la parità nella pazienti con sindrome coronarica acuta a prescindere dal sesso, le donne sono sottorappresentate negli studi clinici che indagano sulle strategie di interventistica e hanno meno probabilità di ricevere terapie basate sull’evidenza, come l’angiografia coronarica e la rivascolarizzazione.
“Questo si verifica anche nell’ambito delle patologie valvolari – precisa Tiziana Attisano, responsabile dell’Unità Operativa di Emodinamica all’Azienda Ospedalero Universitaria di Salerno – dove le donne rimangono sottorappresentate e sottotrattate nonostante l’incidenza sia soltanto di poco inferiore a quella dell’uomo (47%) per la patologia aortica ma superiore per la patologia mitralica e tricuspidalica (60%). Anche i tradizionali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, come l’ipertensione e il colesterolo alto, spesso non vengono trattati in modo tempestivo o appropriato come negli uomini, nonostante siano responsabili di circa la metà di tutti i decessi prevenibili per malattie cardiovascolari”.
Le necessità: cosa si può fare
Bisogna ripartire dal territorio. È necessario dunque attivare delle linee strategiche di diagnosi e trattamento delle diverse patologie cardiovascolari nelle donne attraverso la discussione di casi clinici (real word), accuratamente selezionati fra i numerosi sottomessi da cardiologi interventisti della maggior parte delle regioni italiane.
Inoltre una discussione tra esperti è necessaria per disegnare percorsi condivisi per affrontare le disparità di sesso e consentire in futuro un approccio globale basato sul sesso e sul genere.
“È evidente la presenza di numerosi livelli di disuguaglianze in relazione alle malattie cardiovascolari nelle donne, che hanno chiaramente bisogno di un migliore accesso a una diagnosi precoce e accurata e a un trattamento tempestivo” conclude Saia. “Sensibilizzare i medici, i pazienti e il pubblico in generale è un primo passo importante. Ora che conosciamo le conseguenze di questi pregiudizi più o meno consci sulla salute cardiaca delle donne non possiamo più ignorarli. È tempo fare qualcosa al più presto”.