Come si costruisce un ospedale a misura di bambino  

Il policlinico di Modena ristrutturato a misura di bambino: ecco gli interventi strutturali per rendere più accogliente l'ambiente ospedaliero a beneficio dei piccoli pazienti e dei loro genitori. L’intervista al Direttore Generale, il Dott. Claudio Vagnini. “Faccio riferimento alla semplicità dei gesti”
Bambino
Claudio Vagnini, Direttore Generale Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena

L’ospedale a misura di bambino è nato da un’attenzione particolare verso quelle che sono le fragilità in entrambi gli ospedali dell’Azienda Ospedaliero – Universitaria, il Policlinico e l’Ospedale Civile di Baggiovara. Il target del bambino è il target per eccellenza per noi, insieme agli anziani, i fragili e gli affetti da malattie rare.  

Il miglioramento che abbiamo voluto attuare sta nella possibilità di cambiare la tipologia di confronto e di colloquio, dato che il bambino non ha una capacità sua di espressione, e il suo tramite sono i suoi genitori. L’ospedale a misura di bambino dà, quindi, attenzione a loro, e particolarmente nei piccoli pazienti onco-ematologici.  

I cambiamenti strutturali sono stati fatti sugli ambienti ospedalieri, con modifiche sostanziali alle camere, negli spazi esterni, con l’arredo delle pareti, anche per permettere ai bambini di stare vicino a genitori.  

Da pochi mesi abbiamo attivato un sistema per cui il bambino può entrare in sala operatoria con i genitori, affinché possa stare durante la fase di addormentamento che al risveglio con questi, limitando di molto la loro ansia, dei piccoli e dei genitori.  

Per esempio, per i piccoli pazienti onco-ematologici che devono fare la radioterapia, abbiamo creato un ambiente interattivo in cui possono vivere un contesto di fantasia (con un orsetto con cui possono parlare durante la seduta) per facilitare il passaggio dei bambini in percorsi di cura difficili e “ostili”.

Questa è stata la base da cui siamo partiti, ma non solo per i bambini. L’ospedale fa effettivamente paura a tutti, ma soprattutto ai fragili con meno capacità di elaborazione e di espressione. Noi dobbiamo cercare di leggere questi bisogni prima della emersione delle loro difficoltà.  

Da quali esperienze internazionali ha avuto ispirazione questa “costruzione”, se ci sono? 

Noi ci siamo basati sulle esperienze degli ospedali più avanzati, soprattutto il Meyer di Firenze che è l’ultimo che ha fatto una ristrutturazione importante. Tuttavia, non abbiamo le condizioni per pensare a una struttura davvero rivoluzionaria, perché ci troviamo in uno stabile di 60 anni, però nel giro di qualche anno avremo una nuova palazzina dedicata al materno infantile.    

Cosa ha comportato a livello organizzativo, dipartimentale, comunicativo? 

Per noi la ristrutturazione è stata un momento di difficoltà, prima avevamo delle stanze multiletto chiuse e sono state completamente riviste. Stiamo realizzando una nuova palazzina del reparto materno-infantile di cinque piani, che verrà quindi scorporato dal monoblocco di Modena. Ed è lì che il nostro lavoro darà nuovi frutti.

Quale impatto esterno ed interno ha avuto? 

All’esterno degli ospedali stiamo presentando da poco tempo questi progetti alla cittadinanza.  

Alcuni progetti riguardano la parte ostetrico-ginecologica, ad esempio, i bambini che nascono con il parto cesareo vengono consegnati subito alla mamma invece di passare per il reparto. Cerchiamo di fare in modo che la parte chirurgica possa essere gestita dalla mamma e dal papà, insieme, nel senso di avere entrambi i genitori in sala chirurgica durante il cesareo.  

Andremo a qualificare ulteriormente il percorso della procreazione medicalmente assistita. Un piano intero della nuova palazzina sarà dedicato alla pma. L’obiettivo è andare incontro alle esigenze della mamma, del bimbo e del papà, in parallelo.  

È evidente che si possano fare tante cose. Quello a cui io faccio riferimento è la semplicità, dei gesti e degli atti: non c’è bisogno di fare cose particolarmente complicate, abbiamo bisogno di migliorare il rapporto tra professionisti e pazienti, tra professionisti e caregivers e tra gli stessi professionisti. Sia per l’anziano che per il bambino, ciò che viene vissuto in questi contesti è vitale per fare in modo che i passaggi siano più semplici.  

Ciò che ci siamo preposti è creare ambienti in cui far vivere in modo più tranquillo la permanenza in ospedale, e ridurre il più possibile i tempi di ospedalizzazione. 

Partire dai bambini per poi estenderlo, in parallelo, a tutti i fragili 

Abbiamo da poco ricevuto il Premio Realtà Inclusive della Federazione Alzheimer Italia come ospedale demenze-friendly, e siamo il primo ospedale che viene premiato, perché stiamo facendo percorsi di semplificazione della vita sia dei pazienti con demenza che dei loro caregivers.

Non solo il sottoscritto, come medico e direttore generale, ma anche i miei colleghi geriatri sono convinti che meno tempo si tengono i pazienti in ospedale meglio caratterizziamo la loro vita, questo vale sia per gli anziani che per i bambini. L’obiettivo è tenere piccoli o grandi pazienti il meno tempo possibile in ospedale. 

Spesso non riusciamo a valutare quanto tutto questo possa influire anche sul personale. I nostri operatori sono più soddisfatti dell’andamento della vita ospedaliera da quando sono state messe in pratica queste iniziative. Perché se il rapporto col caregiver è sereno, influisce positivamente sulla vita e sul lavoro degli operatori.  

Un messaggio  

È importante cogliere il vero senso dell’umanizzazione delle cure: penso che sia tempo di prendere in mano una visione non solo biologica del paziente, ma psicologica e sociale. In questo sta tutto ciò che possiamo fare di buono per quel paziente, fargli vivere l’esperienza dell’ospedale differentemente da quello che è sempre stata. Per cui, invito tutti i colleghi a fare in modo che questo percorso diventi un percorso comune. 

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di Sara Claro

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