Il verde cura: piante e suolo depuratori naturali dell’inquinamento

Per Giovanni Damiani, già direttore ANPA (oggi ISPRA), una parte importante dell’inquinamento atmosferico può venire assorbito gratuitamente dalla natura se non la ostacoliamo. “Ma nella pianificazione urbana va combattuto il fenomeno della tecnocrosta: il profitto non deve più sacrificare la salute”

“Il tasso di guarigione è maggiore nei ricoverati che guardano dalle finestre un paesaggio alberato – una consapevolezza che è diventata politica sanitaria in Giappone. Mentre nei Paesi del Nord si è misurato che, nelle scuole immerse nella foresta, l’apprendimento di studenti e studentesse è migliore in tutte le materie”. Questo è solo un esempio di come parchi, prati e boschi sono molto più che paesaggio. Per Giovanni Damiani, già direttore dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambientale (ANPA, ora ISPRA), “suolo e piante sono strumenti di salute. Sono in grado di ridurre l’inquinamento di aria, acqua e terreno, riducendo l’incidenza delle malattie che dall’inquinamento derivano”.

Damiani è anche docente di Ecologia delle acque presso l’Università della Tuscia e Presidente dell’Associazione a forte radicamento scientifico G.U.F.I. (Gruppo Unitario per le Foreste Italiane).

Come piante e terreno possono ridurre l’inquinamento?

Suolo

Prendiamo in considerazione gli inquinanti atmosferici cosiddetti “convenzionali”, che sono anche i più comuni. “Ogni combustione, anche la più ‘green’, produce ossidi di azoto perché usa come comburente l’aria. L’aria che respiriamo è composta da circa 1/5 di ossigeno e 4/5 di azoto. I due elementi in condizioni normali non reagiscono tra di loro. Lo fanno se li si comprime fortemente o li si sottopone a un forte calore.

I motori termici delle auto producono entrambe le cose e gli ossidi di azoto che emettono sono tossici. Se, però, queste sostanze lambiscono un terreno fertile, vivo e con un tasso di umidità anche minimo, vengono catturati e trasformati. Diventano alla fine nitrati che sono concime per le piante. Altro inquinante è il monossido di carbonio, che ogni tanto sentiamo dai media per aver provocato morti per il malfunzionamento di stufe e caldaie. Anche a basse concentrazioni è dannoso per la salute e provoca sonnolenza, disattenzione, confusione mentale. Nel suolo fertile quello emesso dal traffico e dai camini è assorbito da 13 microfunghi presenti comunemente in qualsiasi zolla erbosa. Lo assorbono nutrendosene e lo fanno assai velocemente, depurando l’aria“.  

piante e inquinamento
Giovanni Damiani, già direttore dell’Agenzia Nazionale Protezione Ambientale

Alberi

In natura tutto è collegato. Quando parliamo di alberi, in realtà parliamo dell’ecosistema, delle relazioni che loro hanno col suolo e col resto del mondo. Complessivamente l’OMS stima che l’inquinamento atmosferico provochi più di 400.000 morti premature all’anno in Europa. Traffico e riscaldamento domestico producono le famigerate polveri sottili, PM 10 e PM 2,5, che sono componente sostanziale nel provocare vittime. Le latifoglie, ovvero le piante a foglia larga, sono in grado di imprigionare, appiccicandole, queste polveri sottili e ultrasottili. 

Lo stesso fanno quelle degli arbusti e delle erbe. Questi fenomeni sono una parte importante dei ruoli nascosti che possono svolgere aiuole e parchi: assorbire l’inquinamento atmosferico prodotto dalle auto e dai camini, fenomeni di straordinaria utilità soprattutto in ambiente urbano ove l’inquinamento dell’aria si produce e dove la gente vive. I nostri polmoni, con una superficie alveolare che può arrivare ai 100 metriquadri per individuo, trattengono questi inquinanti. Preferiamo che l’aria sia depurata dal nostro respiro con le conseguenze immaginabili sulla salute o dagli ecosistemi nella natura?

È ovvio che al primo posto c’è la prevenzione, il non inquinare. E va anche detto anche che la natura ha i suoi limiti: può aiutarci se le emissioni restano entro i limiti di tolleranza che la scienza ha scoperto con la legge di Shelford. Superate le concentrazioni-soglia anche le piante si ammalano e muoiono per eccesso d’inquinanti. Infine, con la crisi climatica abbiamo ondate di calore che nell’estate 2023 hanno provocato, in Europa, 47600 decessi.  Gli alberi con la traspirazione assorbono energia dall’ambiente, la esalano verso l’alto come calore latente nel vapore acqueo, abbassando la temperatura-ambiente.

Un albero adulto svolge un’azione pari a quella di 5 condizionatori d’aria domestici e funziona senza elettricità, senza rumore e gratis. In scala più grande voglio richiamare che il mondo vegetale è l’unico in grado di assorbire e fissare la CO2 in eccesso nell’atmosfera e contrastare la crisi climatica che caratterizza la nostra epoca. 

Vegetazione fluviale

“I trenta metri di terreno e vegetazione che si dispiegano trasversalmente su ciascuna sponda lungo il corso di fiumi e torrenti, sono in assoluto i più preziosi per la riduzione dell’inquinamento delle acque provocato dal dilavamento dei suoli. Si tratta di piante caratterizzate da crescita velocissima, come i pioppi e i salici che con la lettiera che producono a terra fanno da filtro potente tra suolo e acque. Il milieu batterico del suolo è particolarmente attivo nell’assorbire e imprigionare metalli pesanti o nel trasformare in poche ore o giorni composti che, come i fenoli e altri composti aromatici, impiegherebbero un secolo a decomporsi in un altro ambiente. Per questo si è iniziato a praticare la Phytoremediation, la bonifica di terreni contaminati attraverso l’opera delle piante, pratica che troviamo oggi anche nelle normative di settore. 

Gli ecosistemi fluviali con le loro caratteristiche di base, inclusa la vegetazione spontanea tipica, come riconosce la Direttiva Europea 60/2000/CE e la legge italiana (Decreto Legislativo 152 del 2006 recante “Norme in Materia Ambientale”), sono depuratori naturali che vanno protetti perché possano proteggere la nostra salute”. Sono, tra l’altro, gli ambienti più ricchi di biodiversità.

Come mai non progettiamo le città in maniera diversa?

“Si preferisce ignorare, insofferenti alle valutazioni ambientali trattate come pastoie e accecati da una visione esclusivamente produttivistica e ingegneristica che vede negli alberi semplici materiali e nel terreno spazio edificabile. Ma gli alberi sono organismi che interagiscono anche con noi e il terreno, dal punto di vista ecologico, non va misurato in metri quadrati ma in volume di suolo vivo, con preziosi sistemi batterici e fungini che puliscono l’ambiente

Abbiamo scoperto recentemente che le ife fungine, filamenti sottilissimi che se quelli presenti sul nostro Pianeta potessero essere messi in fila lungo una linea retta arriverebbero a circa metà della nostra galassia, mettono in comunicazione tra loro tutti gli alberi, in una rete mirabile con cui scambiano acqua, nutrienti, vitamine, segnali d’allarme in caso di attacco da parassiti in modo che possano produrre limonene e altri simili insetticidi naturali. Gli alberi sono esseri sociali e non vanno tenuti in solitudine assediati da cordoli di cemento che impediscono loro persino di assumere acqua piovana dall’intorno. La rete fungina è chiamata, non a caso imitando quella informatica, W.W.W. che sta per Wood Wide Web, la rete del popolo della legna. E i funghi, di cui noi apprezziamo solo il corpo fruttifero buono da mangiare, hanno bisogno di suolo e di un po di umidità e non di cemento e di asfalto.   

In particolare, va protetta la vegetazione fluviale, smettendo di costruire a ridosso delle rive. E bisogna smettere di tagliare in massa gli alberi maturi in città, perché i virgulti che li sostituiscono non possono equiparare la loro capacità di assorbire calore e sostanze inquinanti”.

Cosa bisogna fare a livello di Governance?

“Bisogna combattere il fenomeno della tecnocrosta lasciando quanto più possibile spazi aperti e verdi, invertendo l’abitudine di coprire tutto e inutilmente di asfalto e cemento. Per legge, bisogna prevedere la presenza di persone esperte di ambiente e One Health nella stesura dei piani regolatori delle città”, nelle commissioni edilizie, nei centri decisionali. Occorre multidisciplinarità.

Come può il privato cittadino conoscere la qualità dell’aria che respira?

“Un indicatore prezioso sia per le persone che per le istituzioni è dato dai licheni epifitici così chiamati perché crescono sui tronchi degli alberi. I licheni non sono organismi singoli, ma simbionti: l’unione tra un’alga che è pianta microscopica e un fungo e sono particolarmente sensibili all’inquinamento.

Crescono lentamente, circa 2mm all’anno, e sono un indicatore della qualità dell’aria. Se sulla corteccia degli alberi, osservando i tronchi a postura verticale, ci sono licheni ampi e di diverse specie (anche se non le conosciamo ci accorgiamo delle diversità dalle differenti forme e colori), allora il livello di inquinamento è nullo o molto basso. Se sono pochi, con scarsa copertura e di una o due specie, l’inquinamento è abbastanza significativo.

Oltre un limite i licheni scompaiono. Non a caso, i centri cittadini, soprattutto con carenza di alberi e spazi erbosi, sono spesso “deserti lichenici”. Zone così inquinate da non consentirne la sopravvivenza perché li abbiamo progettati male e senza considerazione per la nostra salute”. Il monitoraggio scientifico della qualità dell’aria con questi indicatori biologici è ufficializzato dal “Manuale” IBL (Indice di Biodiversità Lichenica) edito nel 2001 (disponibile on line) dall’ANPA quando ero alla direzione di quell’Ente, è applicato nel nostro Paese ad opera delle ARPA delle regioni italiane, ma su una scala assai ampia. Sarebbe il caso di applicare il metodo su scala comunale, per dare ai decisori politici informazioni puntuali (letteralmente) su dove ci sono problemi, di quale entità per agire con la prevenzione sanitaria primaria.

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