Le evidenze scientifiche e la pratica clinica dimostrano ormai che curare il diabete guardando solo alla glicemia non è sufficiente. Il diabete va infatti interpretato nella sua dimensione più ampia quale fattore di rischio cardiovascolare, renale e metabolico. Curarlo significa quindi non solo ridurre i valori glicemici ma anche, e soprattutto, proteggere i pazienti dal danno d’organo valutando le connessioni pericolose tra cuore, rene e metabolismo, con un approccio olistico e multidisciplinare.
La Malattia renale cronica (Mrc) è una condizione patologica progressiva associata a un alto rischio di mortalità e morbidità, sia perché può essere il preludio allo sviluppo della malattia renale allo stadio terminale (Esrd o Eskd, End-Stage Kidney Disease), sia perché è fattore di rischio cardiovascolare e di mortalità generale.
Questo è stato uno degli argomenti trattati il 2 ottobre 2024 presso Roma Eventi Fontana di Trevi, dove si è svolto il media talk ‘Diabete Cuore Reni- Le Connessioni pericolose. Rischi noti e meno noti nel circuito cardionefrometabolico’, promosso da Boehringer Ingelheim e Lilly e a cui hanno preso parte diabetologi, nefrologi e cardiologi.
“Il diabete – ha evidenziato il presidente della Società italiana di diabetologia (Sid), Angelo Avogaro – può compromettere la salute dei reni in diversi modi: tra questi, elevati livelli di glucosio sul glomerulo, l’unità filtrante che a causa dello stress ossidativo con il tempo muore, e l’elevata pressione all’interno del glomerulo, considerando che il 95% dei pazienti diabetici sono anche ipertesi.
Man mano che il rene perde la sua capacità di filtro aumenta la produzione di creatinina nel sangue e la presenza di albumina nelle urine. Nella fase iniziale, che dura anni, l’insufficienza renale è asintomatica. Per il paziente con diabete è obbligatorio sottoporsi regolarmente agli esami per valutare la funzione renale. In secondo luogo, è opportuno mantenere la glicemia nel tempo quanto più bassa possibile. Terzo, utilizzare le glifozine, farmaci che hanno la particolare capacità di ridurre la pressione dentro il glomerulo renale e quindi lo proteggono dall’insulto ‘emodinamico”.
La malattia renale è asintomatica: la mancanza di campanelli d’allarme, ad eccezione dell’aumento della pressione arteriosa, favorisce la progressione della patologia verso dialisi e trapianto.
“A questa progressione silenziosa – le parole del presidente della Fondazione italiana del rene (Fir), direttore di Nefrologia dell’ospedale Grassi di Ostia Asl Roma 3, Massimo Morosetti – si può ovviare attraverso l’esame del sangue per il dosaggio della creatinina e l’esame delle urine per ricercare eventuale presenza di albumina o di globuli rossi. Questi due semplici esami consentono una prima valutazione della funzionalità renale. Alcune categorie di pazienti come i diabetici, gli obesi, chi soffre di ipertensione o vasculopatie e chi ha familiarità per malattia renale, dovrebbero sottoporsi con regolarità ad un esame del sangue e delle urine”.
“Per invertire la tendenza – ha concluso – bisogna intervenire sulla diagnosi precoce e sul trattamento con i nuovi farmaci che, utilizzati in fase precoce, sono in grado di proteggere il rene e di rallentare o bloccare la progressione della malattia renale. È importante rivolgersi sempre al nefrologo, che è lo specialista dei reni in grado di prendere in carico il paziente all’interno di uno specifico percorso di assistenza e cura”.
Va in questa direzione la proposta di legge sostenuta dalla Società italiana di nefrologia (Sin) e dalla Fondazione italiana del rene (Fir) e firmata dal vicepresidente della Camera dei Deputati, onorevole Giorgio Mulè, per promuovere lo screening proattivo della Malattia renale cronica da parte dei medici di medicina generale. Secondo i partecipanti all’evento, un passo essenziale per assicurare a questi pazienti l’accesso tempestivo alle numerose opzioni terapeutiche oggi disponibili.