Diabete di tipo 1: screening e nuove cure per ridurre complicanze e ritardare i sintomi

La diagnosi precoce è fondamentale per prevenire la chetoacidosi, una delle complicanze più gravi e potenzialmente letali del diabete di tipo 1
Diabete tipo 1

Rilevare la malattia nelle fasi iniziali permette di intervenire con terapie innovative, come il Teplizumab, il primo farmaco capace di ritardare l’insorgenza dei sintomi del diabete di tipo 1.

A livello globale, sono 8,4 milioni le persone affette da diabete di tipo 1, con mezzo milione di nuovi casi diagnosticati in età infantile. Anche in Italia, la situazione è preoccupante, con oltre 20.000 bambini con diabete di tipo 1 e una delle prevalenze di chetoacidosi più alte.

La Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica ha analizzato l’incidenza della chetoacidosi nei bambini confrontando i dati provenienti da popolazioni con e senza screening, sulla base di due studi pubblicati su Diabetologia. I risultati hanno evidenziato che la diagnosi precoce del diabete di tipo 1 può ridurre del 94% il rischio di complicanze gravi. Grazie allo screening, si stima che ogni anno oltre 450 bambini possano evitare l’insorgenza della chetoacidosi.

Il primo studio analizzato dalla SIEDP ha esaminato la frequenza della chetoacidosi in bambini nei quali il diabete è stato diagnosticato solo dopo l’insorgenza della complicanza. Il secondo studio, realizzato da un team di ricercatori tedeschi nell’ambito del progetto Fr1da, ha invece valutato la frequenza della chetoacidosi in bambini con diagnosi precoce, ottenuta grazie allo screening.

“Questa grave complicanza si sviluppa quando l’organismo non produce abbastanza insulina e inizia a scomporre i grassi, causando un accumulo di acidi nel sangue, detti chetoni, che nei casi più gravi può mettere in pericolo la vita dei bambini colpiti,” spiega Valentino Cherubini, uno dei principali esperti a livello mondiale, impegnato nella promozione della diagnosi precoce e della prevenzione della chetoacidosi.

Avviato a marzo 2024, il progetto di screening precoce ha finora coinvolto 3.600 bambini, con una percentuale di positività dello 0,23%. Lo screening, effettuato sui bambini tra i 2 e i 3 anni e ripetuto tra i 5 e i 7 anni, prevede che, se esteso all’intera popolazione pediatrica, circa 1.113 bambini risultino positivi a due o più anticorpi, con un rischio elevato di sviluppare la malattia. Grazie alla riduzione della chetoacidosi al 2,5% consentita dallo screening, ogni anno oltre 450 bambini potranno evitare questa grave complicanza.

Teplizumab: un farmaco per ritardare l’insorgenza dei sintomi

Individuare precocemente la malattia consente di intervenire con nuove terapie come il Teplizumab, il primo farmaco in grado di ritardare l’insorgenza dei sintomi della malattia. Approvato dalla FDA negli Stati Uniti nel novembre 2022, Teplizumab è ora disponibile in Italia per uso compassionevole nei bambini di 8 anni o più con diabete di tipo 1. Questo trattamento è indicato per i bambini in stadio 2 della malattia, positivi a due o più autoanticorpi caratteristici del diabete e con disglicemia. Il farmaco sarà accessibile anche nei centri di diabetologia pediatrica che ne faranno richiesta.

“Si tratta di un anticorpo monoclonale somministrato per via endovenosa, capace di ritardare l’insorgenza del diabete in chi manifesta i primi segni della patologia, consentendo ai pazienti di vivere mesi o anni senza il peso della malattia,” spiega il Dott. Valentino Cherubini.

La terapia consiste in somministrazioni quotidiane per due settimane e agisce rallentando la progressione del diabete, interagendo con specifiche cellule del sistema immunitario. Queste cellule, solitamente preposte alla difesa contro i patogeni, giocano un ruolo centrale nella risposta autoimmune che causa il diabete di tipo 1.

Uno studio condotto su 76 pazienti con diabete di tipo 1 in fase preclinica ha evidenziato che, a circa 51 mesi dal trattamento, solo il 45% dei 44 pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale ha sviluppato il diabete, rispetto al 72% dei 32 pazienti trattati con placebo. Questo ha comportato un significativo ritardo nell’insorgenza della malattia.

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